Pierpaolo Bibbò (cagliaritano classe 1954) il 20 febbraio scorso ha compiuto settant’anni e allora è giusto fargli gli auguri ricordando uno dei più interessanti dischi usciti in Sardegna tanti anni fa. Si parla qui di Diapason, un album pubblicato da Bibbò nel 1980, considerato una delle opere migliori della grande stagione del prog italiano (e non solo). Quel disco fu pubblicato da La Strega, benemerita label con sede a Cagliari, gestita in modo quasi maniacale da Marcello Mazzella, che in quegli anni era uno dei pochi punti di riferimento per i musicisti isolani. In quell’angolo di paradiso Bibbò trovò accoglienza e Diapason è senza alcun dubbio uno dei pezzi pregiati della scuderia. Otto tracce di canzone d’autore con venature prog che ricordano i primi vagiti di Alan Sorrenti, della sorella Jenny, della spiritualità di Claudio Rocchi e Franco Battiato, dei Salis, ovviamente, che, qualche anno prima pubblicarono “Seduto sull’alba a guardare”. E poi le dovute citazioni a mostri sacri del genere come Van Der Graaf Generator (soprattutto alla voce di Peter Hammill) e anche le vibrazioni teutoniche dei corrieri cosmici tra cui Tangerine Dream e Popol Vuh.
Il disco era concepito come un grande affresco rivolto all’esplorazione del proprio io, una suite divisa in due fasi: Espansione e Contrazione, un viaggio attraverso i meccanismi che regolano le nostre emozioni in rapporto al mondo esterno e al grande caos dentro di noi. Si respira aria di profumi esotici, di spiritualità e pulsioni esoteriche e un impulso alla fuga verso paradisi più o meno artificiali.
Quel disco ebbe una gestazione lunga, fu pensato e meditato per diversi mesi, registrato parte in casa e parte in studio, costruito con mezzi tecnici piuttosto arcaici, con trovate tecniche di puro artigianato predigitale, suoni che sembrano arrivare da armamentari elettronici per poi scoprire che erano manipolazioni fatte a mano da Bibbò e dai suoi amici (sovraincisioni, distorsioni, cose di questo tipo). In quel disco troviamo, oltre a Bibbò, alla sua voce e alla chitarra (ma si prodiga anche in manipolazioni sonore), Adriano De Murtas alle tastiere, Franco Medas alle percussioni, Giacomo Medas alla viola e Antonello Severino al flauto traverso. Senza dimenticare il grande supporto de La Strega nella fase di produzione e distribuzione.
Il disco andò abbastanza bene, anche fuori dall’isola, e la tiratura iniziale di circa 2000 copie fu venduta bene nonostante nel 1980 fossimo già nella fase calante del prog, messo in discussione dalla virulenza del punk prima e del post-punk poi. Oggi una copia di Diapason si trova a cifre improponibili ma per fortuna una riedizione in CD del 1994 a cura della Mellow Records lo rende più accessibile.
Dopo questa esperienza Bibbò ha continuato a fare musica, a viaggiare, a creare, sempre secondo i suoi tempi e i suoi istinti e la sua discografia comprende altri lavori di tutto rispetto: Genemesi del 2012, Via Lattea del 2018 e Razza Umana del 2021, ma è Diapason il suo figlio prediletto, quello che lo ha consacrato come uno dei migliori interpreti di questo modo di fare musica.
In una lunga intervista rilasciata alla rivista Arlequins (che si trova facilmente in rete) Pierpaolo Bibbò racconta nei dettagli la storia di Diapason e tante altre cose legate al mondo della musica e sempre in rete è possibile riascoltare il disco e rendersi conto di quanto fosse interessante quella roba. È anche reperibile qualche traccia video delle successive esperienze di Bibbò, molto vicine al prog più canonico e a quelle strane visioni che ancora oggi possono contare su un gran numero di fedeli cultori del mito.
Resta da dire che dalle nostre parti quell’esperienza non è stata apprezzata per quello che era il suo effettivo valore. Ma così va il mondo e c’è sempre tempo per rimediare.