Non tutto ciò che entra nel campo dell’esperienza, individuale o collettiva, permane. Infatti, appena si acquisisce consapevolezza del tempo che passa e ci si volta indietro per capire chi siamo diventati, ci si rende conto che ciò che rimane è una piccolissima parte di ciò che siamo stati. La nostra identità si compone di momenti, esperienze, sensazioni e ricordi selezionati dal divenire stesso della vita. Ciò che ha il potere di restare possiede la paradossale capacità di conservarsi identico e di essere la condizione di nuove e diverse esperienze.
L’EP d’esordio di Pier, The Harvest, ha il potere di far riemergere, attraverso la musica, sensazioni in grado di agganciarsi a quei ricordi che compongono l’identità di ciascuno. I quali, una volta rivissuti, illuminano e fondano nuovi vissuti, conferendo loro minore intensità, perché più prevedibili, e maggiore riflessività. Questa mediazione riflessiva è la condizione di possibilità dell’esperienza estetica.
Pier, nome d’arte di Pierfrancesco Dessì, è capace di rendere il suono abitabile. È in grado di creare spazi di intimità all’interno dei quali la sofferenza perde il proprio carattere distruttivo per assumerne uno, sì, tragico ma catartico. La voce, i suoni della chitarra, le variazioni ritmiche compongono ambientazioni sonore che ricordano quelle dell’alternative rock dalle tendenze introspettive come i Cure e i Radiohead, ma capace di aperture liriche e crescendo melodici che fanno pensare a Jeff Buckley. In effetti, lo spettro del talentuoso artista americano scomparso prematuramente nelle acque del Wolf River si aggira per tutto il disco. La sua funzione risiede nell’attribuire slancio vitale alle note malinconiche che emergono dal ripiegamento interiore, le quali si mettono così in movimento.
L’artista sardo dimostra di aver raggiunto già un’ottima maturità artistica, ma non per questo il suo potenziale risulta totalmente espresso. Il suo percorso di vita, che lo ha portato dalla cittadina natale, Sarroch, e dalla facoltà di architettura di Cagliari, alle industrie metalmeccaniche finlandesi e, infine, alla dinamica Dublino, gli ha permesso di riassumere sincretisticamente in poche tracce una molteplicità di influenze sonore, artistiche e culturali, che potrebbero essere sviluppate in maniera più distesa.
Per esempio, Golden Hour on the SS195, la quarta traccia dell’EP, mette in scena un solitario e malinconico viaggio sulla statale 195, la Sulcitana, che collega Cagliari al Sulcis. Nel primo tratto partendo dal capoluogo sardo, il tramonto illumina in maniera soffusa il mare e gli impianti industriali, creando un’atmosfera surreale. La promessa di uno sviluppo tecnologico imponente capace di creare un benessere diffuso lascia spazio ad una mera giustapposizione tra un contesto privo di infrastrutture necessarie e poli avanzatissimi che appaiono come cattedrali nel deserto. È questo contrasto però ad essere sublimato dalla canzone di Pier, che mostra come la ricerca di nuovi significati, individuali e collettivi, siano da ricercare proprio negli interstizi.
Questa capacità di aprire mondi e riflessioni è certamente da sviluppare e sfruttare in maniera più incisiva, ma non si può non segnalare il già buon risultato raggiunto. L’EP The Harvest, pubblicato lo scorso 26 aprile, coprodotto con Ber Quinn (Divine Comedy, The National, Jack O’ Rourke) e masterizzato da Ruari O’Flaherty di Nomograph Mastering, ha dato solo un assaggio delle capacità dell’artista, al quale si augura una carriera lunga e ricca di soddisfazioni.