“Human life must be some kind of mistake, The truth of this will be sufficiently obvious if we only remember that man is a compound of needs and necessities hard to satisfy; and that even when they are satisfied, all he obtains is a state of painlessness, where nothing remains to him but abandonment to boredom”.
Persone: quello di cui parla e suona, senza troppi artifici, l’ultimo disco di Michael It´z, sono proprio gli esseri umani e il loro sforzo quotidiano di stare al mondo, con tutti gli ostacoli e le difficoltà che questo richiede. Lo sguardo è quello di un ragazzo di 24 anni, Michael Caria; uno sguardo di cui lui, per primo, ne ammette candidamente disincanto e cinismo: “the pure innocence of a child, the dirty soul of a sinner”.
Michael vive e lavora a Londra. Qui ha osservato la versione post-pandemica di un humus individuale e sociale, fluido e fortemente compromesso nelle sue dinamiche interne, al punto di sentire l’esigenza di registrare un disco che ne disaminasse i contrasti, le contraddizioni e le necessità. L’album si declina attraverso un’elettronica dal volto umano, con la quale gioca per alternare beat distaccati a inserti di piano, canti monodici e, perfino, il Nocturne di Chopin, lasciando filtrare liberamente – e inesorabilmente – scampoli analogici nella freddezza del suono digitale. Proprio come gli aspetti emotivi irrompono in un quotidiano sempre più asettico, generando nuovi conflitti ed esasperando quelli passati.
Nella visione di Michael, in bilico tra Bauman e Russell, le persone diventano di plastica, lo sconforto inevitabile e le divergenze si fanno soggetto: la solitudine si confonde così tra singolare e plurale (Solo – Soli), il perdono diventa personale (Scusa – Mi), gli ambiti vitali si ri-definiscono (Spazio – Spazi) e l’assenza è lacerata dal dubbio (Resta – Torna). Dicotomie emotive ben scandite dall’alternanza, quasi sempre pertinente e ponderata, e dalla varietà delle soluzioni ricercate. Perché questo non poteva essere che un disco estremamente eterogeneo, che attinge a piene mani – e in maniera totalmente randomica – tanto dall’IDM di stampo warpiano, quanto dalle produzioni techno e trance della metà dei novanta, con interessanti compenetrazioni, nelle textures ambient, di richiami alle sonorità del quotidiano (uno su tutti, il tono dell’elettrocardiogramma di Solo – Soli, battito cardiaco e segnale d’allarme insieme).
Ma Persone è soprattutto un lavoro fragile, incoerente e a tratti frammentario. E forse sta proprio qui la sua bellezza: nelle affinità con i suoi attori principali, con la loro articolazione e la loro diversità, e nella capacità di sviscerare e riflettere gli aspetti più complessi di quella human life che cerca di rappresentare.