Rade – Paolo Angeli

Simone La CroceMusica, Recensioni

“Un altro ringraziamento fondamentale che voglio fare è a tutte le persone di mare del mondo che, soprattutto nell’area del mediterraneo, concepiscono l’acqua come elemento che unisce le sponde e non come un muro che ci separa. Io credo ancora nell’incontro tra i popoli, e Rade racconta un po’ tutto questo”. Ecco, scrivere di un disco di senza citare il mare sembra impresa impossibile. Lui per primo lo chiama in causa in questa video-dichiarazione che anticipa la pubblicazione del disco e già a un ascolto fugace, chi ha avuto modo di immergersi nel suo mondo, non può non ritrovarsi. 

Il mare – in questo disco forse più che nei precedenti – unisce e tiene insieme anche tutte le anime di Paolo, quelle che l’uomo e il musicista sono riusciti a riversarci dentro. Ed è proprio in questo che trova la sua ragion d’essere. Forse per la prima volta in un suo lavoro è possibile trovare un po’ tutte le “sue cose”, messe dentro con un disordine preciso e una coerenza forte, sensata. Una galleria delle sue rade, degli spazi dove l’artista trova conforto, al riparo dal vento e dalle intemperie. Ma non un sunto, termine irrispettoso e parziale al cospetto di una discografia complessa e ormai quasi trentennale; piuttosto un lavoro che rappresenta a pieno il suo essere musicista e che rende merito a tutto quello che ha sperimentato finora. 

Il chitarrista gallurese persiste, anche in Rade, nella rinuncia all’overdub e al looping (eccezion fatta per Ottava, la traccia di apertura), a voler rivendicare la sua dimensione di artista solitario, in perfetta simbiosi con la sua chitarra, capace di riproporre al pubblico esattamente quanto saggiato su disco. Una scelta di onestà intellettuale e artistica in qualche modo rivendicata anche dalla decisione di non pubblicare, alla sua uscita, il disco sulle piattaforme di streaming. La voce è più presente che nei dischi passati e, anch’essa viene “usata” in forme diverse: cantata (Mare Lungo), sfruttata con finalità ritmiche (Rade) o semplicemente interlocutorie. Così come l’elettronica e l’effettistica, mai disfunzionali all’insieme. L’amplificazione di ogni voce della sua chitarra, di ogni corda, ne fa un ensemble di strumenti a sé stanti e rafforza il legame con chi li suona, fondendoli in un’unica entità: un piccolo soundsystem fatto di legni, corde, martelletti, piedi, dita e voce. Azhar ben rappresenta questo modo di suonare. Ma è un po’ più di questo: è un modo diverso di voler portare la musica all’ascoltatore, un modo di essere musicista e un modo oltranzista di rivendicare quel ruolo plasmato in anni di studio, pratica, ricerca, errore e curiosità. E come in tutti i suoi lavori, anche in Rade ci sono dei momenti centrali, delle tracce miliari lungo la storia dipanata nel disco: se in Jar’a lo erano certamente il brano omonimo e Sùlu, in questo lo sono Mare Lungo e Rade, che riportano il disco in quel liquido amniotico dove forse è nato o dove forse ha vagato a lungo prima di venire inappellabilmente inciso.

Tra gli ultimi dischi in solo di Paolo Angeli, Rade è forse quello nel quale più la sperimentazione si è spinta oltre, fino a riuscire nell’impresa di far convivere al suo interno tutti i suoi background e le sue declinazioni: quella avanguardista (Azhar, Pece, Niebla), quella più vicina alla tradizione (Ottava, Andira), quella più lirica e orchestrale (Tejalone, Rade), quella più intimista (Secche), quella mediterranea (Baklawa) e quella flamenca (Mare Lungo). Un disco imponente, totale e coerente con la sua produzione, ma per certi versi diverso da tutto quello che abbiamo potuto ascoltare finora. Un disco nel quale cementa l’unione con i suoi elementi vitali, fino a farli diventare un’unica entità. Risultato, peraltro, non troppo distante dalla vita reale dell’uomo, davvero in simbiosi con il mare e la sua chitarra. Un disco che verrebbe quasi da descrivere come definitivo, ma, per sua e nostra fortuna, “definitivo” non è una parola che si addice alla meraviglia che abbraccia chi ascolta ogni sua nuova uscita.

“…Transiti nelle cale a ridosso, con il viso segnato dalla salsedine ed asciugato dal sole. Tra le mani carte nautiche, piegate male e⁠⁠ sporche di caffè, per tracciare rotte immaginarie … E la luce del Mediterraneo, il mare lungo che diventa una superficie in argento; una lingua ibrida, figlia di una cultura bastarda, mosto del secolo scorso, dimenticato nella cambusa, che lascia il tannino nei bicchieri di vetro. E maglie a righe fuori dal tempo, per rinnovare ancora una volta, nel rituale dell’ascolto di un disco, la necessità di gioia e speranza. Questo è per me Rade…”⁠⁠

Paolo Angeli