“Un altro ringraziamento fondamentale che voglio fare è a tutte le persone di mare del mondo che, soprattutto nell’area del mediterraneo, concepiscono l’acqua come elemento che unisce le sponde e non come un muro che ci separa. Io credo ancora nell’incontro tra i popoli, e Rade racconta un po’ tutto questo”. Ecco, scrivere di un disco di Paolo Angeli senza citare il mare sembra impresa impossibile. Lui per primo lo chiama in causa in questa video-dichiarazione che anticipa la pubblicazione del disco e già a un ascolto fugace, chi ha avuto modo di immergersi nel suo mondo, non può non ritrovarsi.
Il mare – in questo disco forse più che nei precedenti – unisce e tiene insieme anche tutte le anime di Paolo, quelle che l’uomo e il musicista sono riusciti a riversarci dentro. Ed è proprio in questo che Rade trova la sua ragion d’essere. Forse per la prima volta in un suo lavoro è possibile trovare un po’ tutte le “sue cose”, messe dentro con un disordine preciso e una coerenza forte, sensata. Una galleria delle sue rade, degli spazi dove l’artista trova conforto, al riparo dal vento e dalle intemperie. Ma non un sunto, termine irrispettoso e parziale al cospetto di una discografia complessa e ormai quasi trentennale; piuttosto un lavoro che rappresenta a pieno il suo essere musicista e che rende merito a tutto quello che ha sperimentato finora.
Il chitarrista gallurese persiste, anche in Rade, nella rinuncia all’overdub e al looping (eccezion fatta per Ottava, la traccia di apertura), a voler rivendicare la sua dimensione di artista solitario, in perfetta simbiosi con la sua chitarra, capace di riproporre al pubblico esattamente quanto saggiato su disco. Una scelta di onestà intellettuale e artistica in qualche modo rivendicata anche dalla decisione di non pubblicare, alla sua uscita, il disco sulle piattaforme di streaming. La voce è più presente che nei dischi passati e, anch’essa viene “usata” in forme diverse: cantata (Mare Lungo), sfruttata con finalità ritmiche (Rade) o semplicemente interlocutorie. Così come l’elettronica e l’effettistica, mai disfunzionali all’insieme. L’amplificazione di ogni voce della sua chitarra, di ogni corda, ne fa un ensemble di strumenti a sé stanti e rafforza il legame con chi li suona, fondendoli in un’unica entità: un piccolo soundsystem fatto di legni, corde, martelletti, piedi, dita e voce. Azhar ben rappresenta questo modo di suonare. Ma è un po’ più di questo: è un modo diverso di voler portare la musica all’ascoltatore, un modo di essere musicista e un modo oltranzista di rivendicare quel ruolo plasmato in anni di studio, pratica, ricerca, errore e curiosità. E come in tutti i suoi lavori, anche in Rade ci sono dei momenti centrali, delle tracce miliari lungo la storia dipanata nel disco: se in Jar’a lo erano certamente il brano omonimo e Sùlu, in questo lo sono Mare Lungo e Rade, che riportano il disco in quel liquido amniotico dove forse è nato o dove forse ha vagato a lungo prima di venire inappellabilmente inciso.
Tra gli ultimi dischi in solo di Paolo Angeli, Rade è forse quello nel quale più la sperimentazione si è spinta oltre, fino a riuscire nell’impresa di far convivere al suo interno tutti i suoi background e le sue declinazioni: quella avanguardista (Azhar, Pece, Niebla), quella più vicina alla tradizione (Ottava, Andira), quella più lirica e orchestrale (Tejalone, Rade), quella più intimista (Secche), quella mediterranea (Baklawa) e quella flamenca (Mare Lungo). Un disco imponente, totale e coerente con la sua produzione, ma per certi versi diverso da tutto quello che abbiamo potuto ascoltare finora. Un disco nel quale cementa l’unione con i suoi elementi vitali, fino a farli diventare un’unica entità. Risultato, peraltro, non troppo distante dalla vita reale dell’uomo, davvero in simbiosi con il mare e la sua chitarra. Un disco che verrebbe quasi da descrivere come definitivo, ma, per sua e nostra fortuna, “definitivo” non è una parola che si addice alla meraviglia che abbraccia chi ascolta ogni sua nuova uscita.
“…Transiti nelle cale a ridosso, con il viso segnato dalla salsedine ed asciugato dal sole. Tra le mani carte nautiche, piegate male e sporche di caffè, per tracciare rotte immaginarie … E la luce del Mediterraneo, il mare lungo che diventa una superficie in argento; una lingua ibrida, figlia di una cultura bastarda, mosto del secolo scorso, dimenticato nella cambusa, che lascia il tannino nei bicchieri di vetro. E maglie a righe fuori dal tempo, per rinnovare ancora una volta, nel rituale dell’ascolto di un disco, la necessità di gioia e speranza. Questo è per me Rade…”
Paolo Angeli