Copertina di Jalitah di Paolo Angeli e Iosonouncane

Paolo Angeli / Iosonouncane – Jalitah

Claudio LoiMusica, Recensioni

La Galita è un piccolo arcipelago di roccia, vento e poco altro situato a nord della Tunisia, poco distante da Tabarka e se si guarda a nord nelle giornate buone si riesce anche a immaginare la Sardegna. Uno di quei posti fuori dal mondo, per come siamo abituati a immaginarci il mondo: pochi abitanti, turisti anche meno, nessuna cortesia per gli ospiti, no disco, no GBGB. Insomma, una situazione che non ti viene proprio voglia di visitare anche perché non ci sono collegamenti e bisogna arrangiarsi. In arabo si chiama Jalitah, come il live di e pubblicato per la label di Jacopo Incani (Tanca), un nome e una desolate land che rispecchia in qualche modo la filosofia di fondo di questa liaison: isole che parlano una nuova lingua.

Una collaborazione quella tra Angeli e Incani che era doverosa e necessaria, scritta nelle cose e di cui non si poteva fare a meno. È l’incontro/scontro tra due sistemi di pensiero che prima o poi sarebbero entrati in collisione, una di quelle avventure che nella vita bisogna tentare e pazienza se poi non sarà tutto rose e fiori, l’importante è provarci. E in questo caso mi sembra di poter affermare che quell’esperimento è perfettamente riuscito.

Il rapporto tra Angeli e Incani arriva in verità prima dei concerti avvenuti nel 2018 e dobbiamo tornare indietro al 2015, ai tempi di Die, il secondo album di IOSONOUNCANE, quando la post-chitarra di Angeli traspirava e si faceva luce nel brano Buio. A quel primo timido approccio sono seguiti i concerti, intensi e coinvolgenti, dai contorni sfumati e piuttosto indefiniti: lasciavano una strana sensazione di cose da approfondire, di sensazioni da dipanare e una nebbia viscida e porosa che accompagnava lo spazio successivo al set in una miriade di suoni strani, di distorsioni, allucinazioni indotte e voci dilaniate e disperse. Uno spazio temporale senza riferimenti logici, senza poter contare sulle comodità che, per fortuna, la nostra vita ci consente. Sembrava di stare in un’isola e non sapere perché, guardare il mare e sperare in qualche forma di vita. Traspariva persino una strana sensazione di libertà e senso di pacificazione., come se quei suoni arrivassero da altre vite, dai sogni che non hai sognato, dai desideri che nessun catalogo può contenere.

A distanza di qualche anno, la logica conseguenza è stata quella di provare a ricostruire la magia di quelle serate e ufficializzare un’unione che, per quanto instabile e poco canonica, andava comunque consacrata. È pur vero che una registrazione è sempre un compromesso, una porzione di felicità, qualcosa che rimanda a qualcos’altro, ma in questo caso riascoltare su disco quello che è avvenuto prima può essere un’ottima medicina per l’anima. Di quei giorni rimane una chiara sensazione di potenza creativa, si avverte la necessità di confrontarsi e di farlo con profonda concentrazione, da quei solchi arrivano le vibrazioni della carne, i corpi che si cercano, una chimica organica e disorganica che è magia pura. Due punti di vista piuttosto divergenti che per un momento hanno trovato uno spazio comune, uno scenario immaginario nel quale guardarsi negli occhi e decidere cosa sognare. Naufragare a Galita può riservare piacevoli sorprese e godere della potenza materica di Paolo Angeli, di uno strumento che si presta a continue devoluzioni e la nuova visione della musica di Incani, un post-pop intriso di umori popolari, di citazioni e rimandi ad altre storie. Oltre alle loro voci che non sono proprio voci ma lamenti, sospiri, affanno, sofferenza.

La Galita è uno scoglio in mezzo al nulla, se si sale sulla collina più alta si vede tutto, soprattutto l’infinito mare che la circonda, la protegge, la isola. Potrebbe essere la nostra isola se le pieghe della storia avessero avuto un altro corso, se fossimo stati artefici del nostro divenire, come Roma fondata da Remo, come le città invisibili di Calvino. Ma sono solo congetture, forzature temporali e storiche che nulla cambiano, ma possono lasciare spazio all’immaginazione. Sarà divertente ipotizzare che musiche avremmo ascoltato in quella realtà parallela ed è plausibile che i nostri suoni potrebbero essere quelli proposti da Paolo Angeli e IOSONOUNCANE, intrisi di rimandi senza tempo, echi lontani, rimembranze remote di vite immaginate, scenari di pura astrazione. Una partitura che contempla le voci degli animali, degli uomini prima di essere materia per anagrafe e codici, della natura libera e liberata, un canto libero di potenza e forza creatrice. Uno scenario che accoglie anche le schegge di una contemporaneità ormai parte delle nostre vite: silicio, manipolazione genetica, nuove forme di vita, nuovi alimenti e colori mai visti prima. Jalitah è lo sguardo di chi ha visto tanto, ma che ha ancora voglia di immaginare, di sognare, di creare.