Mentre il mondo esprime da anni ormai una visione del jazz – o quello che è – sempre più visionaria e internazionalista, nel suo piccolo la nostra scena non brilla certo per coraggio e originalità e i progetti che ci si avvicinano si contano sulle dita di una mano. Non è una novità, soprattutto per queste pagine: lo abbiamo già scritto e non mancheremo di ripeterci. E sarebbe fin troppo facile dire che una prospettiva più allargata o una più capillare contaminazione possano essere agevolate da contesti sociali multiculturali nei quali la fruibilità della musica (ascoltata, suonata o prodotta) non sia appannaggio di pochi local. Come pure ammettere che qui queste condizioni si creano molto raramente, sarebbe una piccola sconfitta. Eppure un fondo solido di verità si cela dietro questa ipotesi. Siamo pochi, gli spazi scarseggiano, le istituzioni latitano e le occasioni di incontro sono limitate ai pochi eventi culturali che potrebbero consentirlo. E spesso queste sono comunque chiuse e rivolte a cerchie ristrette di musicisti che, pur con tutta la buona volontà del mondo, restano imbrigliati in un circolo vizioso di autocelebrazione che difficilmente ne mette in discussione la produzione musicale.
Non è certo un caso, quindi, se Two Thou, al secolo Luca Murgia, originario di Carbonia, ha concepito questo suo molto più che attuale Oraculu a Berlino, dove ha trovato terreno fertile per le sue idee e le migliori condizioni per realizzarle. Anzi, in realtà “this music was born in Berlin, matured with me through a winter in the rural Sardinia, and ended up on wax through Chicago and New York”. Una gestazione lunga, meticcia anch’essa e probabilmente necessaria. Oraculu è il suo ultimo 12”, poco più di un singolo, visto che contiene tre nuovi brani – Altair, The Rivers e l’omonima traccia di apertura – più un remix di quest’ultima, valido quanto l’originale. Un singolo con mezz’ora di musica, nel quale Murgia figura come compositore, orchestratore ed è accreditato a synth e MPC, la celebre workstation di Akai.
E per quanto la scena berlinese non sia incisiva quanto quella ben più nota della capitale britannica, non sta certo alla finestra, con la sua fitta rete di locali, club e musicisti con una spiccata apertura verso, manco a dirlo, EDM, house, techno e acid. Ed è proprio ai versanti più elettronici che anche Two Thou ha rivolto il suo sguardo, innestandoli felicemente con psichedelia e “spiritual electronics”, come l’ha battezzata lui stesso. E per farlo ha chiamato a raccolta alcuni talenti della scena cittadina, come la cantante di origini angolane Monica Mussungo, il sassofonista Taymour Khajah, kuwaitiano, i percussionisti Ziggy Zeitgeist e Dylan Greene, rispettivamente australiano e cinoamericano, e il cubano Daniel “El Congo” Allen. Le provenienze geografiche non sono buttate lì a caso, ma, anzi, dicono molto dell’approccio di Murgia al lavoro fatto con Oraculu, nome scelto anche per il progetto. L’omonima suite di apertura, spezzata in due parti nel singolo di lancio, è una lunga composizione tribal-ambient, che rimanda agli Ancestors di Shabaka Hutchings, vitalizzata dalle vocalità soul della Mussungo. Il remix di Soul Cesár Toribio, anch’esso di origini dominicane e poco teutoniche, ne attesta la predisposizione per il clubbing. Altair è un inno alla luce, sotto la guida della più luminosa stella della costellazione dell’aquila, verso atmosfere caraibiche e mari notturni scuri come pece. Con The Rivers il disco rivolge la prua verso il continente africano e, sostenuto dallo spoken di Sonny Daze e dalla tromba di El Congo, riporta un po’ tutto a casa e chiude un lavoro estremamente contemporaneo, di ampissimo respiro e riccamente denso nonostante i pochi brani sul piatto.
“I want to recall that jazz and electronic music both emerged as inventions, and it seems to me they’re both suggesting us to keep inventing”. Forse nessuno oggi inventa niente, neanche Two Thou, ma ci ricorda, con un timing impeccabile, che non smettere mai di perseverare resta sempre il primo passo verso la smentita.
