L’importanza dei luoghi e l’intimità degli stessi sono un dettaglio importante quando si tratta di un’esibizione artistica. Tralasciando il barbaro (ab)uso del termine “location” (o collocation, per citare un esponente della giunta regionale) che appiattisce e rende anonimo, la scelta di suonare in ambienti che riflettono la magia, l’energia e la forza di un territorio ripaga sempre. Il Pozzo Sartori, all’interno del complesso minerario di Montevecchio a Guspini, è uno di questi luoghi che sono parte integrante di un habitat. Ambienti che sono custodi silenziosi della memoria e della vita di una comunità, come quella di Guspini e del suo circondario.
Niccolò Fabi sale sul palco, intorno alle 21:30, dialogando con il suo pubblico. E sottolinea questo legame con la platea, spiegando la differenza che esiste tra suonare in un teatro e trovarsi al Pozzo. I teatri sono luoghi di cultura, ma spesso simili tra loro: sono istituzionali, freddi e, talvolta, diventano dei non-luoghi (o non-lieux secondo la definizione coniata da Marc Augè), che cedono buona parte della loro componente identitaria e sono funzionali allo scopo senza riflettere o aggiungere espressamente qualcosa in più. Invece trovarsi all’interno della porzione di un complesso che è passato da essere luogo di produzione a luogo di conservazione della storia, rinascendo come palcoscenico suggestivo, ha permesso di creare le condizioni idonee per uno spettacolo in solitaria. Fabi, in versione one-man-band senza accompagnamento, armato di voce, tastiera e chitarre acustiche (con l’eccezione di un’elettrica che ha usato per un paio di brani), ha saputo costruire un immaginario fatto di canzoni ed effetti, tramite l’uso di una pedaliera che ha intensificato le sue di per sè ottime doti canore. Il ricorso a riverberi, eco e distorsione ha compensato l’assenza della sua band e ha costruito una dimensione individuale, vibrante e capace di espandersi e moltiplicarsi. L’acustica eccellente dei luoghi ha garantito un suono definito e rotondo, in cui la nitidezza delle immagini raccontate sono arrivate all’ascoltatore con quella “potenza dell’eterno dentro il quotidiano”, che è la summa filosofia del messaggio di Fabi.
Niccolò coinvolge il pubblico, tra momenti di commozione e di ilarità mista all’autoironia per la sua nomea di “tristone”, come racconta dal palco tra un pezzo e l’altro. Vuole che la platea canti insieme a lui, sottolineando come la sua volontà di essere cantautore risieda nell’assecondare il desiderio di scrivere dei brani che fungano da innesco per il ricordo del singolo individuo. Le canzoni, secondo il musicista capitolino, sono state pensate per una funzione quasi terapeutica o riflessiva, facendo si che ogni ascoltatore possa creare un legame tra suono, parola ed evento del proprio passato o ponendo le basi per una riflessione personale. Fabi introduce ogni brano, trovando il tempo di narrare la gestazione dello stesso e i momenti che ne hanno condizionato la genesi, regalando una chiave di lettura per interpretarlo nel modo più affine a quello dell’autore.
Nella cornice intima del festival “A Innantis” è andata in scena l’elogio della tenerezza, a partire dall’apertura di “Tradizione e tradimento”, fino alla chiusura con l’evergreen “Lasciarsi un giorno a Roma”, conclusione di ogni concerto del riccioluto autore. Le oltre due ore, intervallate da risate e momenti di dialogo filosofico, hanno regalato al pubblico un concerto di grande qualità, in cui la scaletta ha combinato brani tratti dagli ultimi lavori con grandi classici della sua discografia. Canzoni che hanno lo stesso feeling, ma la cui esecuzione è sempre diversa come nel caso di “Vento d’estate”, suonata con un appeal caraibico e reggae e interpolata da King of Bongo Bong di Manu Chao. Tra i picchi della serata è d’obbligo menzionare brani come Non vale più, Ecco e Filosofia agricola, che hanno colpito per l’esecuzione intensa e appassionata.
Menzione d’onore per il lavoro di fonici, servizio d’ordine e personale coordinato dal M.I.S. L’organizzazione è stata impeccabile, sotto il piano dell’orario dei concerti, logistica e della resa sonora, decretando sin dall’inizio quello che sarebbe stato un successo sotto ogni aspetto.
Niccolò Fabi è, in Italia, un artista che ha trasformato la gentilezza nella propria forza come compositore e musicista. Il musicista classe ‘68, interprete della propria rivoluzione, ha saputo, talvolta con eccessivo candore e ingenuità (per quanto l’ingenuità assomigli alla saggezza, secondo i CCCP), costruire lentamente la propria cifra stilistica. Il cantante romano ha sempre evitato percorsi lesivi per la coerenza del suo pensiero e per la volontà di continuare a raccontare l’uomo nelle sue battaglie quotidiane e nella somma di piccole cose che hanno contribuito a rendere speciale una serata di piena estate nel medio Campidano, perfino all’interno di una cava mineraria.
Le foto sono di Antonio Deidda, su gentile concessione dell’autore e dell’organizzazione di Made Island Sound.