Recentemente, nei vari scroll sui social, poteva capitare di imbattersi in post del tipo “Dischi la cui copertina suona come essi”. Chromatic Nostalgia di Michael It’z, pubblicato per Shimmering Moods Records, è uno di questi: il prezioso artwork di Cornelius Grunt (Inside a Ginger) è un’opera di manipolazione digitale del volto della compagna del musicista. Come l’opera di Caria che altro non è che sapiente, dosata e misurata manipolazione digitale.
Il producer sardo di stanza a Londra si erge a narratore, usando come fogli i progetti vuoti di Ableton e come penne synth, tastiere, chitarre, destrutturate e, per l’appunto, manipolate. Oggetto del racconto è la distanza, fautrice, secondo l’autore, di prospettiva e oggettività. E se questi due sono stati i punti di osservazione predominanti durante l’ideazione delle 9 tracce che compongono il disco, la dimensione in cui si è andato a riversare il prodotto finito è quella della vicinanza e della soggettività. Il minimalismo, i glitch e la completa definizione di ogni singolo suono si presentano all’osservatore come una macrofotografia sonora, dove è il dettaglio, e non l’insieme, a incarnarne il focus.
Il percorso che dalla distanza porta al dettaglio è segnato dalla pandemia e dall’isolamento forzato iniziato due anni fa. Quella prospettiva e oggettività sopra citate sono state la pietra filosofale attraverso la quale Caria ha tramutato “la sua anima e tutte le (sue) fragilità” in suono.
Musa ispiratrice, o forse più carnalmente misura della distanza, è la madre, a cui il disco è dedicato e della quale, presumibilmente, si intuisce la voce nell’ultima traccia.
Due sono le donne protagoniste e forse non è casuale che, nonostante mosse dalla distanza, le composizioni suonano comunque dolci e rassicuranti.
L’elettronica più elaborata si conferma ancora una volta come uno dei linguaggi più adatti a rappresentare le debolezze e le insicurezze che la nostra epoca riserva. Un linguaggio che non tende ad alcun episodio catartico ma si “limita” al ruolo di accompagnamento sonoro di una lenta, dolorosa e silenziosa – e per questo intima – introspezione.