Michael It’z – Ambivalence

Enrico Melis CostaMusica, Recensioni

Nell’infinità di contraddizioni umane, forse è proprio la sensazione dell’ambivalenza a essere la più difficile da descrivere, per sua stessa natura. Senza perdersi in grammaticismi, la Treccani la definisce alternativamente come caratteristica di ciò che si presenta sotto due aspetti diversi ma non per forza contrapposti, oppure come compresenza di sentimenti opposti verso persone e oggetti. Ma è un terzo significato indicato a gettare una più chiara, e al contempo più tetra, luce: “qualsiasi polarità e opposizione […] che si osservino in una stessa realtà sociale, nei complessi religiosi di un popolo”, citando a mo’ di esempio come “il sacro si presenti di volta in volta, o anche contemporaneamente, attraente e terrificante”.

Ed è su tale ambiguità arcana, tipica della mente e delle sue proiezioni – e perciò anche dell’universalità di esperienze umane condivise – che Michael Caria sviluppa le tematiche del suo decimo disco sotto il moniker di Michael It’z: il cui titolo, si sarà intuito, è “Ambivalence”. E se già nelle uscite precedenti (trattate a loro tempo sul sito) l’artista codaruinese di stanza a Londra palesava un interesse per il minimalismo unito alla ricerca di trame fitte e precise, nell’assemblamento di influenze da altri generi e ambienti, l’esperienza del nuovo album non si dimostra assolutamente da meno.

Ciò che emerge più di tutto è infatti la experience di un viaggio raccontato non tramite parole, ma echi lontani di ciò che accomuna e al contempo divide: dalla ciclicità statica della natura disturbata da tocchi sonici di “Same Pattern, Over and Over”, l’ascoltatore si immerge in un piovoso universo post-urbano. Tra gli angoli spettrali del downtempo di “Between People and Machines” puntellato dal sax di Guido Tabone, l’IDM misteriosa della title track, come anche episodi più intimisti (“Before We Leave”, con Alex Kozobolis) e cupe riflessioni (“Violent Connection”, “Ashes, We’ll Be”), l’ecletticità del progetto raggiunge l’apice nella chiusura con un omaggio al 1960, descritta da Michael come ‘era definente’, forse proprio in riferimento anche all’età dorata della musique concrète, che ispira e pervade l’intero lavoro.

Che “Ambivalence” ricordi o meno Boards of Canada, Aphex Twin o gli artisti dell’etichetta Hyperdub, saprà sicuramente offrire sostanza oltre tali influenze. E neanche può dirsi che Michael It’z avesse da dimostrare qualcosa che l’esteso catalogo già non provasse: ora però è certo che abbia piantato la sua personale bandiera nei meandri dell’elettro-sperimentale.