Nonostante l’apparente semplicità nel descriverla, l’esser felici resta un po’ per tutti un obiettivo tutt’altro che facile da perseguire: c’è chi l’insegue nella condivisione, chi invece nell’egotismo, chi addirittura ha voluto che questa ricerca della felicità fosse un principio costituzionale (e non certo per l’inventiva di Muccino). Ma qual è il prezzo di questa caccia al tesoro? E se, alla fine, si scoprisse pure che quel bottino già c’era, ma non si è saputo apprezzarlo a suo tempo?
Ma prima di caricarsi di ulteriori interrogativi, bastino quelli citati a inquadrare le tematiche del nuovo disco del cantautore cagliaritano Matteo Sau, “Quanto mi costa la felicità”, pubblicato il 21 marzo scorso per La Stanza Nascosta Records. Il disco segue dopo quasi dieci anni dall’esordio dell’artista con il precedente “Qualche giorno dopo la luna”, prendendo forma grazie anche alla collaborazione con il produttore-arrangiatore Salvatore Papotto, ed è stato presentato a poco meno di un mese dall’uscita al Fabrik di Cagliari, con la partecipazione dei musicisti Ivana Busu, Gianluca Pischedda, Andrea Lai e Antonio Pinna al live set.
In questo nuovo lavoro il timbro di Sau, decisamente cantautorale, si sposa con un portfolio sonoro decisamente più colorato rispetto al debutto: nelle sue dieci tracce, svariate influenze – dal blues al tango, deviando pure verso valzer, neopsichedelia e milonga – si legano attorno al pilastro stilistico principale, un fumoso e semiscuro folk incentrato sui testi. L’impianto narrativo dell’album invece, aperto e chiuso in una ringkomposition, tratteggia atmosfere rurali dove i protagonisti dei brani “arrivano, annunciati da una musica come succedeva con le compagnie d’arte che giravano i paesi”, per raccontare la loro storia e poi dileguarsi, cercando fortuna (o forse, felicità) in qualche altra contrada.
L’album è disponibile su tutti i principali servizi di streaming.