Copertina di Ràixe di Matteo Leone

Matteo Leone – Raixe

Mauro PireddaMusica, Recensioni

«Su che camiñu ma nu ögiu cacciò via i mé ràixe, passu dópu passu me véstu e vaggu à piggiò quéllu che me spette». Ossia, sto camminando ma non voglio buttar via le mie radici, passo dopo passo mi vesto e vado a prendere ciò che mi spetta. E già questo verso è un programma, un manifesto di intenti scolpiti nei dodici pezzi di questa fatica che ci accingiamo a raccontare dopo averla ascoltata e riascoltata in anteprima, mettendo da parte – da subito – qualsiasi confronto con il Faber mediterraneo (e non solo per via dell’utilizzo di un dialetto ligure, il tabarchino parlato nell’isola di San Pietro e a Calasetta). Ma mettendo anche da parte, almeno momentaneamente, l’introduzione che gli fa Massimo Carlotto e che troviamo nel booklet.

Anche perché stiamo parlando di un disco di , del quale sappiamo cosa c’è nelle sue corde (non solo quelle suonate). Non manca quindi il blues, il blues come codice di condotta ancor prima di cifra stilistica rinvenibile nell’opener In mézu ô mò, nella title-track Ràixe, nella panligure Tabarka, nella mezzosangue Nàigri; non mancano la coralità (sia nei gosos finali di Tra tera e mò che nella struggente Calasettana) e le vibrazioni hammond (Angelin); non mancano le sonorità arabe (Figiô). E così proseguendo con le molto belle A Zabétta, Mustru, Dragut e, chiudendo al meglio, Tramuntu (con la voce narrante della compianta Marcella Pellerano). A praghere nostru, ritrovandoci nelle nasse tutto quello che l’incontro sonoro e immaginario tra noi e Matteo riesce a produrre.

Ràixe (accennavamo a De Andrè ed ecco invece un concetto molto gucciniano), è musica ponte. Prodotto da S’ardmusic e distribuito da EGEA Records, l’album unisce sponde diverse – dal Delta a Tabarka – con l’arcipelago sulcitano in mezzo; unisce queste terre alla dimensione totale del (il mare); unisce la chitarra sarda ad altri cordofoni come il saz e il bouzouki; unisce le esperienze del mi (io) e del niotri (noi) raccontate a quelle di chi va a scoprirle con l’ascolto di questo disco; unisce pezzi della scena sarda come Arrogalla, Forelock e Pierpaolo Vacca con background paralleli ma convergenti; unisce i dolci suoni della sua lingua alle sensazioni di idiomi ormai scomparsi (se la lingua sabir, il pidgin delle scorribande e dei traffici mediterranei di tanti secoli fa, potesse avere una gamma di suoni, oltre che di vocaboli, probabilmente avrebbe la musicalità meticcia di questa dozzina). Matteo Leone, con Ràixe, ha prodotto un album che lui stesso definisce «travagliato, sia dal punto di vista della stesura che dal punto di vista della pubblicazione». Ha dato alla luce un disco che «ha avuto diversi cambiamenti nel corso di 3 anni», anche se a lui «piace di più la parola evoluzione». Un’opera che va «a ritroso», alla ricerca delle sue radici. E a noi de Sa Scena, a quanto pare, non bastava un disco della settimana. Questo giro due. Buon ascolto, Ràixe esce oggi.

Copertina del booklet di Ràixe di Matteo Leone