I Regrowth rappresentano la faccia pulita dell’hardcore made in Cagliari o, per chi bazzica già da tempo la scena, uno dei più giovani proseliti della scuola locale.
Nati nel 2016 da un’idea del cantante Marco Camarda, vantano un curriculum navigato per una band seminale sia dentro che fuori dallo studio di registrazione, in cui la giovane età dei componenti fa il paio con quella naturale tendenza tutta isolana (o forse destino imprescindibile) al DIY.
Dopo un Ep, una solida gavetta live e lo split con i cugini Riflesso e Quercia, pubblicano il loro primo full lenght, Lungs. Nato nella distanza imposta dal lockdown, il disco rappresenta un climax nel percorso artistico dei ragazzi e, di fatto, sancisce la loro consacrazione.
Diradate le iniziali influenze metalcore più marcatamente internazionali – di stampo “Epitaphiano” per intenderci – le attuali sonorità e, soprattutto, le sfumature emotive abbandonano il mainstream per attingere da una scena più vicina e partecipata, in cui i suoni si tingono di toni apatici e sofferti (Gold Kids, a mani basse, tra tutti). L’imprinting della scena hardcore cagliaritana e romano-veneta è ben evidente nelle influenze e nel sound, omaggiata dai featuring con Riflesso, Dawnbringer, Modern Tears e My Own Prison.
C’è stato un gran lavoro di perfezionamento, apprezzabile nell’utilizzo delle linee vocali melodiche sovrapposte allo scream (“No Lights“), spesso ben confezionate in chorus catchy, come in “Knife“, e nelle ritmiche della chitarra di Lorenzo Mariani che, traccia dopo traccia, acquistano spessore aggiungendo un quid di espressività al songwriting. Non rimarranno però delusi gli aficionados che ritroveranno i canonici marchi di fabbrica com i cambi di ritmo (Falling, roaming, drowning, Lungs) e i breakdown arrogantissimi (Surfacing e Glass case).
Il disco scorre via semplice e diretto lungo le 11 tracce, accompagnato da un respiro di sollievo per una scena che ha trovato, forse, i suoi “figli” naturali. Un respiro, sì, perché Lungs (letteralmente “Polmoni”) è innanzitutto un concept sui disturbi depressivi – e non è un caso che la data di lancio si incroci con la giornata mondiale contro i suicidi. Concept di cui è parte anche l’artwork, in una letteratura post-hardcore dei sentimenti in cui sono i polmoni, ancor prima del cuore, a esser la materia dalla quale prendono forma le tinte più cupe dell’animo umano e, dal cui afflato, ha inizio e compimento il nostro viaggio nel mondo.
Ancora una volta il potere catartico dell’hardcore riesce nell’intento di condurre dal disagio e dall’alienazione fino alla consapevolezza delle poche certezze conosciute.
Lungs diventa, di diritto, un punto fermo in questo 2020 pre-apocalittico, manifesto di una scena che fa scuola e di un esperimento socio-culturale pienamente riuscito nel suo intento di diventare laboratorio di idee, luogo in cui, da contaminazione e collaborazione, nasce aggregazione. E quando il messaggio arriva ai più giovani, nell’epoca del qualunquismo per antonomasia, c’è da esserne fieri e convincersi che si sta facendo il giusto per lasciare un solco, anche se stretto, su di un suolo ancora (troppo) poco considerato come quello isolano.