Live Report – Abitare Costa Paradiso

Simone La CroceLive report

Da qualche anno anche in Sardegna hanno iniziato a diffondersi format di produzione artistica e divulgazione culturale sempre più organici e articolati, che tentano di calarsi sulle specificità del territorio e di integrarsi con le comunità locali. Artefice di alcuni di questi è U-BOOT Lab, un’associazione di promozione sociale, con la direzione artistica di Maria Pina Usai e la segreteria organizzativa di Marina Fanari, focalizzata su paesaggi e territori ad alta vulnerabilità sociale e ambientale. Tra i progetti portati avanti da U-BOOT Lab in Sardegna, oltre a Giudicesse 2030 e Tunèa, c’è anche Abitare Costa Paradiso, progetto in continuità con Abitare la Vacanza, vincitore nel 2023 della seconda edizione del Festival Architettura della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, che indaga l’evoluzione del paesaggio e dell’architettura costiera nella seconda metà del novecento in risposta al turismo di massa.

Casa Scalesciani, Alberto Ponis (1977)

Abitare Costa Paradiso ha incentrato il proprio lavoro sull’omonima località del Comune di Trinità d’Agultu e Vignola, nella quale, a partire dagli anni sessanta, quando era un roccioso – ma comunque vivo e vissuto – pendio a picco sul mare, l’architetto Alberto Ponis, ispirato dagli stazzi galluresi e dall’architettura organica, realizza nuove forme abitative integrate con il territorio e il paesaggio. Nell’abitato di Costa Paradiso oggi si scorge a malapena quell’idea fondante di architettura tanto discreta e rispettosa quanto elitaria, oggi offuscata dall’edificazione più intensiva e grossolana accentuatasi negli anni novanta e che oggi ha definitivamente compromesso il paesaggio costiero e l’equilibrio naturale, concentrando in pochi chilometri di litorale fino a 15.000 persone durante l’alta stagione, che si riducono a meno di cento nel resto dell’anno. Partendo però proprio dalle costruzioni dell’architetto genovese, Abitare Costa Paradiso prova a riabilitare l’abitato quale luogo di cultura, sperimentando nuovi formati creativi, fondati sulla partecipazione e sulla fruizione consapevole: quindi workshop, residenze di ricerca artistica, scambi interculturali, festival partecipativi, escursioni, talk ed eventi, durante i quali artisti, operatori culturali, architetti, musicisti, performers e fotografi, sono chiamati a dare il proprio apporto in maniera sinergica e condivisa, secondo direttive ben precise, entrando in stretto contatto con la comunità e con il territorio che la ospita.

Session di registrazione di FiloQ

In questo quadro si è inserita la residenza artistica di FiloQ, al secolo Filippo Quaglia, dj-producer, sound designer e music supervisor genovese, che sguazza tra elettronica di varia natura, jazz, world e global beats. Fondatore e dubmaster dell’Istituto Italiano di Cumbia e della factory Stellare, nonché produttore artistico di musicisti del calibro di Capossela, Mudimbi e Almamegretta, FiloQ ha già lasciato il proprio segno in Sardegna, con la sua partecipazione allo spettacolo “La furia delle sirenette” tenutosi lo scorso anno al Museo del Mare di Sant’Antioco nell’ambito del piano triennale di residenze artistiche “Di terre e di acque – Luoghi da custodire”. Il suo progetto per Costa Paradiso prevedeva una sorta di restituzione sonora del territorio e dei suoi elementi sia naturali che antropici: quindi gli onnipresenti mare e vento in primis, poi i suoni della vegetazione, degli insetti, delle pietre, ma anche quelli dei veicoli, degli operai al lavoro nei cantieri che si riattivano con il cambio di stagione e del chiacchiericcio dei pochi abitanti rimasti. “Ricollegandomi all’architettura di Ponis, costruita intorno alla natura, – spiega Filo – ho cercato di far sì che anche la costruzione musicale girasse attorno ai suoni naturali, manipolandoli, facendoli diventare altra musica oppure mantenendoli comprensibilmente dry perché si avvertisse il loro carattere di reale”. 

FiloQ a Li Baietti

Nel materiale “costruttivo” di Filo sono poi finite anche altre preziose testimonianze audio del – e dal – territorio. Una è l’intervista ad Alberto Ponis registrata da due architetti cinesi del gruppo SHICHAI che lo avevano incontrato in Sardegna nel 2022, conosciuti casualmente dal producer poco prima della sua partenza. Poi le registrazioni effettuate nella casa della cantante Maria Teresa Pirrigheddu: la voce di Marco Muntoni del Coro Gabriel e quella della celebre cantante tempiese che, oltre a raccontare la sua carriera, si è esibita in diversi canti galluresi, uno dei quali, riprodotto e tradotto istantaneamente, è finito in una delle tracce del lavoro finale.

Con metodo, pazienza, cuffie in testa e Zoom alla mano, Filo ha registrato tutto quello che l’ambiente ha avuto da dire durante la settimana della sua residenza. Nel suo nuovo studio vista mare – allestito per l’occasione dalla Suvitas Productions di Eugenio Caria aka Saffronkeira – ha scandagliato le tracce, le ha riascoltate, selezionandone le parti interessanti per poi campionarle e processarle fino a farle diventare dei suoni, dei bordoni, dei tappeti o dei pattern ritmici. 

FiloQ e Maria Teresa Pirrigheddu

Un lavoro di separazione, centellinamento e stratificazione volto allo sviluppo di Miriorama/Infinite Soundscape, il progetto che ha portato alla residenza, ispirato alle carte realizzate dall’artista Jean-Pierre Brés, nelle quali aveva disegnato frammenti di paesaggio che potevano essere combinati tra loro in maniera casuale, ottenendo sempre un unico disegno continuo e coerente. “Le singole tessere sono associazioni di idee, come nel caso delle api accostate ai lavoratori che fanno la manutenzione alle case. Un’associazione sonora ma anche concettuale: si parla sempre di comunità che lavorano”. Filo prosegue spiegando che “volendo, possono essere viste come tante scenette che, se isolate, possono stare in piedi anche da sole, ma che combinate tra loro tornano sempre su un orizzonte sonoro che alla fine è costituito da una serie di sovrapposizione di venti e suono del mare”.

FiloQ in studio

Allo stesso modo Filo ha realizzato 16 tracce sonore che possono essere ascoltate in maniera randomica all’infinito. Come le carte di Brés, anche le tracce, nelle diverse combinazioni della loro riproduzione, forniscono altrettante rappresentazioni del paesaggio, nelle quali persistono sempre gli stessi elementi, senza mai risultare uguali a sé stesse. Una riproposizione che ha molto a che fare con le arti visive. “Durante la produzione mi sono reso conto che stavo provando a raccontare questo posto con il suono e con la musica a qualcuno che non che non lo ha mai visto, provando a descrivere sensazioni, spazi e suggestioni. A un certo punto ho sentito di fare qualcosa di cinematografico in un certo senso. Perché anche nel cinema subentra sempre la fiction per raccontare la realtà. Per esempio quando sul set si ricorre a mille riflettori per simulare la luce naturale. Questa cosa funziona anche con il suono, quando devi ricorrere alla manipolazione digitale per farlo sembrare naturale”.

Il lavoro finale è stato poi riversato su un player, presente sulla pagina del progetto, impostato per la riproduzione delle tracce in maniera randomica, in modo da offrire all’ascoltatore rappresentazioni sempre diverse, caratteristica questa intrinseca del territorio e del paesaggio, come rimarcato da Alessandro Carboni, citando Jacques Monod e Benoît B. Mandelbrot, durante il talk “Pratiche spaziali, performative e sonore per abitare il paesaggio costiero” che ha preceduto la performance finale.

Performance finale di FiloQ

Ma la fase di concretizzazione del lavoro fatto non si fermerà al player digitale. “Dopo la performance conclusiva della residenza di FiloQ – racconta Maria Pina Usai, fondatrice di U-BOOT Lab e curatrice del progetto – stiamo lavorando a una restituzione del lavoro in forma ibrida, analogica e digitale. Due composizioni delle 16 “tessere sonore” di Miriorama saranno incise su vinile, che costituirà anche la pubblicazione finale di Abitare Costa Paradiso, con contributi testuali, grafici e fotografici. Un QR code incluso darà accesso a un player online, in cui le tracce si ricompongono in modo randomico a ogni click. Lo stesso codice sarà diffuso in punti significativi del territorio, trasformando il paesaggio in un player sonoro condiviso”.

Come fortemente fisica è stata l’installazione realizzata al termine del workshop di autocostruzione condotto da Paola Serrittu e Andrea Maspero di LandWorks, associazione Culturale attualmente residente all’Argentiera, dove ha avviato un progetto di rigenerazione urbana. A Costa Paradiso LandWorks ha creato sedici elementi in legno mobili, tanti quante le tessere prodotte da FiloQ, pensati per abitarne il paesaggio, ma anche per realizzare un grande puzzle i cui pezzi formano grafiche ispirate alle architetture di Ponis. E non a caso sono stati disposti di fronte alla consolle durante la performance finale dentro la chiesa progettata da Ponis e rimasta incompiuta fino a oggi. LandPlay – questo il titolo scelto per il lavoro – sfrutta il doppio senso del verbo play, sia come gioco che come realizzazione sonora e su ogni elemento realizzato è stato piazzato un QR code che rimanda al player di Miriorama/Infinite Soundscape.

Performance finale di FiloQ

Abitare Costa Paradiso è un esperimento artistico e culturale complesso, tanto nella sua realizzazione quanto nella sua concretizzazione. Si muove in un territorio estremamente fragile e compromesso, nel quale quelle architetture che in passato hanno tentato di popolarlo in maniera non violenta quasi scompaiono in mezzo a un paesaggio ormai irrimediabilmente urbanizzato che fatica a convivere con la bellezza del territorio naturale che lo incastona. Un territorio orfano di una vera e propria comunità, i cui pochi componenti per la gran parte dell’anno, vivono racchiusi all’interno di una bolla spazio-temporale e fanno fatica a cogliere tutte le sfumature del lavoro intrapreso da U-BOOT Lab, spesso confondendo il ruolo di colonizzatori e colonizzati, separati dall’enorme vuoto creatosi tra loro e la realtà di quel tratto di costa gallurese. 

Una impermeabilità sintomatica di tutte le contraddizioni legate alla fruibilità, umana ancora prima che artistica e culturale, delle zone costiere sottoposte a urbanizzazione più o meno intensiva che caratterizza ampi tratti del litorale gallurese, anche di quelli celebrati come esempio di non invasività ed esempio di integrazione con il territorio. Interrogarsi sulle forme dell’abitare e di come queste possano avere un impatto su territorio, paesaggio e umanità, positivo o negativo che sia, non può che essere sempre il primo passo per avere delle risposte. E anche se anche non riesce a lasciare nell’immediato segni tangibili sulle persone e sul territorio, per quel che ci riguarda, non si può che plaudire al semplice fatto che contribuisca a creare prodotti musicali non solo estemporanei e legati alla performance, ma fatti e finiti come quello realizzato da FiloQ, quindi esportabili, riproducibili e, speriamo presto, anche esponibili in bella mostra nelle collezioni di dischi.