Costruire oggi un disco intorno al concetto di leggerezza non è semplice. I sassaresi Egon ci hanno provato. «Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore», scriveva Italo Calvino nelle sue Lezioni americane. Le distanze, le assenze, lo scorrere del tempo, i ricordi, le fughe e le cadute sono i macigni di cui Marco Falchi racconta in Leicht.
La visione oscura delle cose, anacronistica e distaccata, il cantato cadenzato e poco incline alla melodia pescano a piene mani dai Massimo Volume e dal catalogo del Consorzio Produttori Indipendenti. Ma se gli anni novanta sono passati da un pezzo, quello che forse ancora resiste è un qualche bisogno di cantare queste tematiche, specie quando le positività del quotidiano sembra essere l’unico focus di una certa canzone d’autore.
I suoni e gli arrangiamenti non dimostrano però la stessa ambizione dei testi e, solo nei pezzi più sperimentali, sembrano esserne all’altezza. La lingua madre si conferma ostica da maneggiare e il ricorso all’inglese pare confermarlo. Ma è proprio il coraggio di questa scelta a rendere ancora più valore e merito al risultato raggiunto con questo lavoro.