Riproponiamo, in versione tradotta, l’intervista fatta da Mauro Piredda ai nostri Simone La Croce e Luca Garau per La Nuova Sardegna, pubblicata nell’edizione del 22 novembre scorso.
Sa Scena Sarda, ovvero impulso e megafono per la musica in Sardegna. È un portale in rete con notizie, rubriche varie, recensioni di dischi, live report, un calendario con gli eventi e altre iniziative sempre in favore della scena musicale isolana. Loro amano definirsi “Agit-Prop”. Agitazione e propaganda, quindi, che da qualche anno sono l’alfa e l’omega della loro missione.
Ne abbiamo parlato con Luca Garau e con il capo redattore Simone La Croce, due penne della redazione di Sa Scena.
Quando nasce il progetto?
Sa Scena Sarda nasce nel 2017 con Daniele Mei, il direttore, e Daniela Schirru, la segretaria di redazione.
Parlateci del lavoro di redazione.
È un lavoro collettivo. Ci aiutiamo a vicenda, prima di pubblicare, uno di noi corregge ciò che l’altro scrive perché teniamo a pubblicare articoli di qualità.
Chi altri fa parte del progetto?
Oltre a noi due, Daniele e Daniela ci sono altri tre redattori: Luigi Buccudu, Claudio Loi e Marco Cherchi. La grafica del sito è a cura di Giuseppe Lorrai e il fotografo è Daniele Fadda. Ora siamo noi. In questi anni c’è stato anche chi non ha potuto continuare per via del suo lavoro, perché siamo tutti volontari, e chi è appena entrato in redazione.
Ma esiste una scena musicale in Sardegna?
Non abbiamo un’unica scena, ma ci sono diverse scene minori ben definite che producono grande qualità. Inoltre la nostra non è una realtà metropolitana con tanta gente che supporta la propria scena. Possiamo però dire che c’è ci sono scene più attive a Sassari e a Cagliari.
Esiste una matrice sarda in queste scene?
Mah, se lasciamo da parte l’ondata degli anni novanta con Kenze Neke, Mogoro Posse, Balentia Sarda, Dr. Drer, Sa Razza e altri, possiamo dire che nel presente la sardità non viene a galla più di tanto. È una fase, ma non possiamo dire che sia sempre così. Anche ora abbiamo esperienze che condiscono la loro musica con argomenti legati all’insularità, come gli sperimentali Freak Motel, e agli argomenti dell’industrializzazione contraddittoria del Marghine, come gli oscuri Hermetic Brotherhood of Lux-Or. In più c’è gente come Paolo Angeli e Arrogalla che portano avanti le nostre sonorità.
Oggi è finalmente più facile produrre musica, vero?
Diciamo che è meno costoso. Fino apoco tempo fa non si poteva fare a meno di uno studio e di un fonico. Si può produrre molta musica, ma dobbiamo prestare attenzione alla qualità e non soltanto alla quantità.
Al contrario, è più difficile suonare dal vivo.
Ora dobbiamo vedere come si evolvono le normative di sicurezza e non pensiamo che i concerti torneranno nel 2021.
E quindi?
Chi suonava ha continuato a suonare, sebbene in streaming Il discorso è: qual’è il ruolo del pubblico? Prima dell’arrivo della pandemia i concerti, oltre all’esecuzione dal vivo, avevano un’altra funzione: il pubblico poteva acquistare i dischi venduti direttamente sul posto. Sta prendendo piede l’idea di pagare per vedere un concerto in streaming.
Digitale e supporti fisici, vendite e like. Cosa c’è di nuovo?
L’LP sta tornando. É un formato apprezzato, che non può mancare al feticista dei supporti, ma è chiaro che le etichette discografiche prendono in considerazione le reazioni nelle piattaforme digitali.
Tornando a voi, progetti nuovi?
Da poco abbiamo collaborato con il festival “Isole che parlano” di Paolo Angeli e abbiamo costituito un’Associazione di Promozione Sociale. Continueremo l’opera di divulgazione, ma siamo anche orientati ad organizzare eventi e dibattiti. Se ci pensiamo, c’è tanta musica, in tanti la suonano e in tanti l’ascoltano. Ma se ne parla poco, eccezion fatta per questo periodo che, obtorto collo, ci fa riflettere.
Vogliamo che se ne parli. A questa scena musicale manca la comunicazione e la contaminazione. I musicisti parlano poco tra di loro ed è per questo che ci ispira l’idea di Agit-Prop, molto ambiziosa, ma necessaria per superare il provincialismo attuale.