Se prendiamo quest’album per il verso giusto e se da questo verso pretendiamo una metrica perfetta, ecco che tra le nostre mani abbiamo un endeca bene sestadu con l’accento obbligatorio in decima posizione. Laddove risiede una bella e stonesiana cover (Gimme Shelter) che spicca, sì, per personalità, ma che non copre la bellezza delle altre sillabe/tracce, ben dosate in un prodotto finale verace e rampicante. E se ciò bastasse per dire che l’abum tenet unu bellu tràgiu dall’inizio alla fine, che non stona da quando canta il gallo (The Rooster, prima traccia) a quando finisce il viaggio sonoro torrende a domo (Home, undicesima), potremmo definire chiusa la recensione.
Anche perché non è facile raccontare un disco che non è ancora uscito ma del quale già si legge parecchio, spesso attraverso i filtri delle categorie musicali che sì, sono appropriate, ma non bastano, né rendono giustizia allo sforzo creativo di questo quartetto.
Dicevamo, l’album che raccontiamo oggi, ottavo giorno di un fresco e bagnato giugno, esce dopodomani. E vediamo se con Homecoming dei King Howl inizia un po’ di tempo buono per le solanacee messe a dimora qua e là nell’agro. Sì, perché se c’è un qualcosa che caratterizza il nuovo album dei nostri questa è la componente rurale. Il gallo posto all’inizio del disco, oltre che darci un po’ di pollina che molto bene fa alle nostre produzioni estive, sveglia il nostro villaggio con il suo canto sotto il sole nascente: “Red sun rising in the sky, sleeping village, cockerels cry” direbbe cantando un giovane Ozzy di 53 anni fa.
Il treno della terza traccia non è quello ad alta velocità ma sembra più quello che passa a Giave respirando sos nuscos delle fienagioni e così via, traccia dopo traccia. Nulla di desertico, quindi. A meno che non ci scappi la quasi obbligatoria etichetta stoner (ma anche no) e si preferisca il cactus al pomodoro cuore di bue. Male che vada possiamo parlare di terreno argilloso, che però i nostri hanno ben lavorato modificandone la struttura non solo con la pollina già citata, tanto compost, un po’ di sabbia e quant’altro, ma anche con un pesante intervento di vibranti sonorità hard and blues che scavano e zappano con ritmi contadini, a volte a lestru, a volte slow.
Musica salmastra come il sudore; musica che cuoce come il sole; musica che profuma di stallatico e basilico; musica che ci riporta a casa con le scarpe piene di polvere. Insomma, noi lo promuoviamo come disco della settimana (ma anche della stagione irrigua), voi ascoltatelo da dopodomani. Fatevelo proprio. E se proprio volete, sappiate che non siete così in ritardo per farvi l’orto.