Il racconto della serata del 10 settembre della quindicesima edizione del festival
KAREL MUSIC EXPO 2021 – OUTSIDERS – XV EDIZIONE. Lazzaretto di Cagliari | 09-10-11 Settembre.
Il Karel Music Expo è un appuntamento a cui non sono mai mancato e anche quest’anno, nonostante diversi impegni concomitanti, sono riuscito a seguire almeno una serata della rassegna. Per gli amanti del rock il Karel Music Expo è una delle poche rassegne strutturate e coerenti che si possono frequentare in quest’isola, che offre invece tante opportunità ai jazzofili e ad altre forme artistiche come il teatro, la danza, il folk, la musica classica e persino la musica contemporanea (più o meno colta). Proprio per questo il KME è prezioso e indispensabile, terapeutico, salutare come un bene di prima necessità. In questi 15 anni di vita abbiamo avuto la fortuna di assistere a concerti memorabili, artisti freschi di stampa e glorie del passato che abbiamo accolto come vecchi amici, produzioni internazionali, nazionali e le migliori espressioni del rock locale. Ma anche presentazioni di libri, performance, mostre, escursioni fisiche e interiori, cibo e bevande, emozioni e sorprese. Il tutto grazie alla lunga esperienza dello staff di Vox Day e alla tenacia e caparbietà di Davide Catinari e Serenella Massacci che sono l’anima di questa bella storia. Nonostante tutto e al di là di tutti i casini che questo mestiere comporta (pandemia compresa).
Come dicevo, quest’anno ho potuto assistere a una sola serata, ma non è stato tempo perso. In realtà la partecipazione a un concerto non è mai tempo perso, anche quando le cose non vanno come vorremmo: andare a un concerto significa partecipare a un rito collettivo che in ogni caso aggiunge qualcosa alla nostra esperienza umana, vuol dire aprirsi al mondo e alle cose e alimentare una passione che altrimenti è destinata a diventare la rappresentazione di se stessa. Come diceva Gaber e come ben sa chi organizza concerti. Significa uscire dalla gabbia del proprio ego, abbandonare quella bolla liquida dei social, dello streaming, di un simulacro che è solo consumo, autorappresentazione, paranoia e onanismo senza desiderio.
La serata del 10 settembre inizia con la presentazione del libro “Urla sempre, primavera” di Michele Vaccari intervistato da Simone Cavagnino che purtroppo mi sono perso. Arrivo al Lazzaretto intorno alle otto di sera pieno di motivazioni e speranze ma la situazione meteo è terribile: tuoni, fulmini e un temporale assurdo che sembra non abbia nessuna intenzione di finire. Si mette male ma gli organizzatori hanno messo in sicurezza il palco e la serata è comunque salva. Il set di Igor Lampis (accompagnato per l’occasione da Giacomo Calabaza) si svolge in questa strana e straniante situazione con il pubblico stoicamente assiepato a ridosso del palco, là dove la furia del tempo è meno violenta. Lampis da qualche anno sta percorrendo un sentiero parallelo a quello dei gloriosi Punkillonis, una svolta che lo ha portato verso quello che lui chiama “punk-autoriale” ovvero una sorta di cantautorato che si alimenta di storie personali e di visioni politiche universali (il privato è politico come si diceva tanti anni fa). Canzoni di protesta semplici ma efficaci, come fossero figlie illegittime di una improbabile liaison tra Billy Bragg e Dario Fo.
Al termine del set di Lampis l’uragano viene subito riclassificato in umida serata settembrina e si prosegue con S A R R A M, con il pubblico che magicamente riempie la piazza interna del Lazzaretto e tutto procede nel migliore dei modi. La follia del tempo e le sue imprevedibili mutazioni ci fanno capire quanto tutto sia relativo, mutevole e cangiante. Come i suoni proposti da Valerio Marras che si muove – quasi in trance – tra la sua chitarra elettrica e moltitudini di pedali, filtri, morbide macchine che ridefiniscono i suoni e saturano l’aria di elettricità e di buone vibrazioni. La musica di S A R R A M non ha confini propri, non ha inizio e non ha fine, si adegua allo spazio circostante, diventa un unico corpus emozionale, stordisce il giusto come un mix di lexotan e cocacola (ma non provatelo a casa).
Si cambia completamente registro e si torna sulla terra grazie a Stefano Rampoldi in arte Edda. Il personaggio è noto e va presso per quello che è: un alieno piovuto sulla terra che ancora non è riuscito a fare i conti con questa realtà. Lui è fatto così, prendere o lasciare. E se si prende allora bisogna stare al suo gioco, lasciarsi andare e capire che tutto è vacuo, effimero come la neve. Edda si schernisce, si autoflagella e si assolve, scherza con la morte e con la vita e alla fine vince lui anche quando sembra tutto finito. Edda è uno (o una) che preso l’ascensore per il patibolo ma è tornato al piano terra. La recente (e bellissima) collaborazione con Gianni Maroccolo ha del miracoloso e ci dà la conferma di un musicista vero, unico nel suo genere, quasi un mistero difficile da svelare. Si ha l’impressione che neanche lui si renda conto dei suoi mezzi e spesso fa di tutto per evitare la giusta dose di riconoscimenti. Ma va bene così, questo è Edda, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni. Con la sua sfacciata naïveté e con quel retrogusto di malinconia che non guasta. Mi ricordo ancora un’intervista rilasciata a Blow Up tanti anni fa, al rientro da un lungo periodo di silenzio e di casini personali, nella quale raccontava come fosse riuscito a tornare tra i vivi grazie al lavoro in un’impresa edile. Mattoni, cemento, carriole, e ancora mattoni, sabbia e calce per ore e ore. Non proprio una dimensione da rocker, ma semplice vita vera, sudore e fango, fatica e disperazione e una capacità immensa di fare i conti con i propri limiti. Questo è Stefano Rampoldi: un artista che non ha mai voluto essere chiamato tale e un uomo che ha scelto un nome da donna per sentirsi più vero e sincero. In fondo va bene così.
La serata continua con un pezzo di storia della nostra musica: Cristina Donà che si presenta in compagnia di Saverio Lanza per presentare deSidera, il suo nuovo progetto discografico uscito di recente grazie a un crowdfunding che è andato oltre le migliori previsioni. Il concerto di Cagliari è quindi la giusta occasione per testare i nuovi brani ma anche per guardarsi alle spalle e ripescare quelle emozioni che da tanti anni ci accompagnano. Lei è come al solito una figura ieratica, quasi magica e tiene la scena con il piglio giusto che le arriva da una lunga esperienza. Saverio Lanza fornisce la giusta cornice di suoni e rumori, suona con disinvoltura tastiere, basso, elettroniche di varia natura, e anche una spaventosa chitarra a due manici che non si vedeva dai tempi del prog dei tardi anni Settanta. Ma per fortuna la sua è solo misurata partecipazione al progetto e si capiscono molto bene i motivi che hanno spinto la Donà ad affidarsi a questo musicista da tanti anni. E poi c’è quella voce, la voce della Donà che si perde nella notte stellata di Cagliari e la pioggia diventa un ricordo lontano: rimane la magia di una serata di musica seria e di un festival di cui non possiamo fare a meno.
La serata per me si conclude così, nel migliore dei modi, anche se per i più audaci c’è ancora tempo per ascoltare i suoni di Stziopa, alias Stefano Manconi. Ma io sono troppo stanco e abbandono la scena conscio di aver partecipato a un miracolo che nel tempo continua a replicarsi. Mille volte meglio di San Gennaro, anche lui, a suo modo, un outsider.