Il live report della prima serata del Festival delle Culture Resistenti
Di Luca Garau, foto di Daniele Fadda
Il Karel Music Expo, ormai dal 2007, rappresenta un appuntamento fisso per i fruitori cagliaritani e non solo, della scena indipendente. “Format di musica e cultura resistente” così lo definiscono gli organizzatori stessi. E per la proprietà transitiva, l’epiteto di resistenti è quanto più azzeccato anche per l’intera comunità fatta di organizzatori, band, etichette e pubblico. Il KME negli anni ha ospitato nomi del calibro di Tricky, Marc Almond, Joe Lally, oltre a diversi protagonisti della scena nazionale quali, tra gli altri, ODP, Teatro degli Orrori, A Toys Orchestra, spostandosi dalla fiera di Cagliari, al suggestivo Teatro Civico di Castello, alla Manifattura Tabacchi, per approdare quest’anno all’EXMA.
La rassegna apre i battenti giovedì 21 novembre, con una puntualità quasi disarmante, per chi è abituato agli orari dei live isolani. Il colpo d’occhio iniziale non è incoraggiante. Un gazebo bianco, chiuso su tutti i lati, è la sala showcase, mentre la sala live è stata ricavata al primo piano della affascinante struttura che fu il mattatoio cittadino. Si nota subito l’assenza dell’atmosfera da festival, fatta di banchetti, cibarie e beveraggi vari.
Ad inaugurare la sala live è La Città di Notte, quartetto che vede Edoardo Meledina al contrabbasso, Diego Pani (già King Howl) alla voce e al piano e alla batteria, rispettivamente Andrea Schirru e Frank Stara (già Dancefloor Stompers). I quattro portano in scena uno spettacolo fatto di cool jazz, blues e forma canzone italiana, che risulta al di sotto delle aspettative. La tecnica e l’esecuzione sono raffinate, ma non sufficienti a comunicare la ricercata nota di sapore caratterizzante. Quello scelto è un terreno molto arduo, dove il confine tra il sublime e l’avanspettacolo può risultare molto labile.
Segue, nuovamente nella sala showcase, un altro quartetto cagliaritano, La Pioggia. Formazione canonica, due chitarre, basso e batteria, propongono uno show che riporta agli anni 90 italiani: il cantato gracchiante, quasi urlato, droni e feedback sapientemente dosati dall’esperto Perry Frank e basso dritto e tagliente. Efficace la scelta estetica di posizionare la batteria perpendicolare al resto della band.
Dopo un intermezzo rappresentato dalla performance artistica di Rugiada Cadoni, visual artist decostruttivista e fortemente provocatoria, è la volta degli headliners Julie’s Haircut.
La band emiliana, attiva ormai da circa vent’anni e a lungo assente dall’isola , ha regalato al pubblico presente un impeccabile show, composto principalmente da brani degli ultimi due album, oltre all’immancabile Fountain e alla insperata Satan Eats Seitan contenuta nel fondamentale After Dark, My Sweet del 2006, regalata al vorace pubblico sardo come bis.
I cinque, come da aspettative, si sono dimostrati maestri nel padroneggiare il loro armamentario fatto di moog, amplificatori Hiwatt e Sunn o))), strumenti d’essai e tecnica affinata negli anni di attività. In un’ora e mezza di live hanno eretto muraglie di suono prendendo a piene mani dalla psichedelia degli anni 70 e dal Krautrock di Can, Neu!, Faust, declinando il tutto nell’ormai riconoscibile linguaggio emiliano, che tanto ha dato e tanto continua a dare alla scena musicale nazionale.
Ad accompagnare il gruppo nelle sue cavalcate oniriche sono state le curatissime proiezioni, che contrariamente a quanto avviene in altri live, non hanno rappresentato un semplice complemento d’arredo, ma un vero e proprio ausilio al carattere ipnotico e alienante del loro repertorio.
Al termine dello show, durante lo smontaggio del palco, Giovanardi e soci, non si sono sottratti dallo scambiare qualche chiacchiera con il pubblico attardatosi in sala, in spregio a quell’elegante attitudine snob, tipica della scena alternativa nostrana.