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KME 2019, prima serata

Luca GarauLive report

Il live report della prima serata del Festival delle Culture Resistenti

Di Luca Garau, foto di Daniele Fadda

Il Karel Music Expo, ormai dal 2007, rappresenta un appuntamento fisso per i fruitori cagliaritani e non solo, della scena indipendente. “Format di musica e cultura resistente” così lo definiscono gli organizzatori stessi. E per la proprietà transitiva, l’epiteto di resistenti è quanto più azzeccato anche per l’intera comunità fatta di organizzatori, band, etichette e pubblico. Il KME negli anni ha ospitato nomi del calibro di Tricky, Marc Almond, Joe Lally, oltre a diversi protagonisti della scena nazionale quali, tra gli altri, ODP, Teatro degli Orrori, A Toys Orchestra, spostandosi dalla fiera di Cagliari, al suggestivo Teatro Civico di Castello, alla Manifattura Tabacchi, per approdare quest’anno all’.

La rassegna apre i battenti giovedì 21 novembre, con una puntualità quasi disarmante, per chi è abituato agli orari dei live isolani. Il colpo d’occhio iniziale non è incoraggiante. Un gazebo bianco, chiuso su tutti i lati, è la sala showcase, mentre la sala live è stata ricavata al primo piano della affascinante struttura che fu il mattatoio cittadino. Si nota subito l’assenza dell’atmosfera da festival, fatta di banchetti, cibarie e beveraggi vari.

Apre Joey Collins, cantautore di Nottingham, che, chitarra elettrica e voce, propone il suo repertorio fatto di malinconia à la Jeff Buckley e rabbia à la Eddie Vedder. Forse per il viso slavato e la capigliatura, il richiamo agli adolescenziali Silverchair viene quasi automatico e, complice questo amarcord, il live scorre via gradevole.

Ad inaugurare la sala live è La Città di Notte, quartetto che vede Edoardo Meledina al contrabbasso, Diego Pani (già King Howl) alla voce e al piano e alla batteria, rispettivamente Andrea Schirru e Frank Stara (già Dancefloor Stompers). I quattro portano in scena uno spettacolo fatto di cool jazz, blues e forma canzone italiana, che risulta al di sotto delle aspettative. La tecnica e l’esecuzione sono raffinate, ma non sufficienti a comunicare la ricercata nota di sapore caratterizzante. Quello scelto è un terreno molto arduo, dove il confine tra il sublime e l’avanspettacolo può risultare molto labile.

Segue, nuovamente nella sala showcase, un altro quartetto cagliaritano, La Pioggia. Formazione canonica, due chitarre, basso e batteria, propongono uno show che riporta agli anni 90 italiani: il cantato gracchiante, quasi urlato, droni e feedback sapientemente dosati dall’esperto Perry Frank e basso dritto e tagliente. Efficace la scelta estetica di posizionare la batteria perpendicolare al resto della band.

Dopo un intermezzo rappresentato dalla performance artistica di Rugiada Cadoni, visual artist decostruttivista e fortemente provocatoria, è la volta degli headliners Julie’s Haircut.

La band emiliana, attiva ormai da circa vent’anni e a lungo assente dall’isola , ha regalato al pubblico presente un impeccabile show, composto principalmente da brani degli ultimi due album, oltre all’immancabile Fountain e alla insperata Satan Eats Seitan contenuta nel fondamentale After Dark, My Sweet del 2006, regalata al vorace pubblico sardo come bis.

I cinque, come da aspettative, si sono dimostrati maestri nel padroneggiare il loro armamentario fatto di moog, amplificatori Hiwatt e Sunn o))), strumenti d’essai e tecnica affinata negli anni di attività. In un’ora e mezza di live hanno eretto muraglie di suono prendendo a piene mani dalla psichedelia degli anni 70 e dal Krautrock di Can, Neu!, Faust, declinando il tutto nell’ormai riconoscibile linguaggio emiliano, che tanto ha dato e tanto continua a dare alla scena musicale nazionale.

Ad accompagnare il gruppo nelle sue cavalcate oniriche sono state le curatissime proiezioni, che contrariamente a quanto avviene in altri live, non hanno rappresentato un semplice complemento d’arredo, ma un vero e proprio ausilio al carattere ipnotico e alienante del loro repertorio.

Al termine dello show, durante lo smontaggio del palco, Giovanardi e soci, non si sono sottratti dallo scambiare qualche chiacchiera con il pubblico attardatosi in sala, in spregio a quell’elegante attitudine snob, tipica della scena alternativa nostrana.

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