Di Gabriele Mureddu e Claudio Loi
Il Karel Music Expo, giunto all’edizione numero diciassette, sta per diventare maggiorenne. Tuttavia sappiamo bene che, a questi anni, vanno sommati quelli di attività della Vox Day che, dal 1990, organizza eventi, concerti, concorsi, contest e infinite altre occasioni di incontro e scontro. Stiamo parlando di circa 33 anni di pulsione creativa e organizzativa, della quale il KME è pilastro del fermento culturale musicale isolano. I festival sono creature complesse che si modificano nel tempo, si evolvono in base alle circostanze storiche, alle dinamiche della politica, ai mutamenti sociali, alle bizze e agli umori popolari. Un festival itinerante che ha praticamente abitato tutti gli spazi cittadini a sua disposizione, trovando recentemente nel Lazzaretto un approdo sicuro in attesa che si riaprano altri luoghi di Cagliari, dolorosamente chiusi in questi anni (Teatro di Castello, Piccolo Auditorium, Vetreria, etc. etc.).
A fronte di queste naturali evoluzioni biologiche il Karel ha mantenuto in questi lunghi anni una personalità e un modus operandi che è una delle sue migliori qualità: dare spazio a progetti musicali e artistici “resistenti”, ospitare “tutte le forme espressive estranee a meccanismi di grande distribuzione”, uscire dagli steccati imposti dalla cultura dominante e diventare uno spazio-mondo che guarda al contemporaneo e alle nuove correnti della musica del mondo. Insomma tutti quei MoviMenti che vivono e sopravvivono al di là delle vetrine ufficiali, oltre il grande vuoto della nuova cultura liquida planetaria.
Il festival ha avuto il suo apice tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre, ma in verità è stato preceduto e anticipato dalla rediviva rassegna Sottosuoni (che rimanda a gloriose escursioni musicali di qualche anno fa) con la riappropriazione di alcuni luoghi celati negli anfratti della Città Metropolitana e alcuni concerti di grande interesse. Tra i tanti vogliamo ricordare uno degli eventi clou dell’estate cagliaritana, come il concerto degli Skunk Anansie e i tanti concerti del mese di agosto (che non è proprio un mese votato agli spettacoli in questa città). Tra questi rimangono indelebili i set di Alessandro Asso Stefana in perfetta solitudine all’interno degli spazi etnopsichedelici di Casa Saddi a Pirri e il concerto di Edda in trio che ha dimostrato di essere un grande artista (anche se lui ogni tanto se lo dimentica…).
E poi è arrivato il KME edizione 2023 con un prequel, il KME OFF, il 31 agosto con Emidio Clementi (scrittore, musicista e leader dei Massimo Volume) e Corrado Nuccini (fondatore e chitarrista dei Giardini di Mirò, che nell’edizione del KME 2009 si erano occupati della sonorizzazione live del lungometraggio muto “Il Fuoco” del 1915) che hanno proposto dal vivo il disco “Motel Chronicles”. L’album, pubblicato il 14 aprile scorso, è una trasposizione in musica del romanzo omonimo del regista, drammaturgo, scrittore e attore americano Sam Shepard. L’opera completa, una trilogia musicale e letteraria, iniziata con i lavori su Emanuel Carnevali (omaggiato già con “Primo Dio”, brano contenuto in “Lungo i Bordi”, monumentale secondo disco dei Massimo Volume del 1995) e proseguita con l’opera poetica di T.S. Eliot e i suoi “Quattro Quartetti“.
Nella stessa sera si sono esibiti anche il trio Fanali, i Magnificat e Carlo Addaris.
Nella seconda giornata, il primo settembre, hanno suonato i The Big Self, Black Black Istanbul, TRRMÀ e, infine, i Calibro 35. Una delle particolarità della serata è che tutti i gruppi che hanno suonato prima di questi ultimi erano dei duo. Un totale di sei musicisti, che hanno riempito l’arco temporale che precedeva l’esibizione del collettivo di Enrico Gabrielli e soci.
I The Big Self sono un duo, composto dal sassarese Matteo Anelli (batteria e percussioni elettroniche) e dal siracusano Paolo Messere (chitarra, voce, loops ed elettronica), già con Ostara’s Bless, Blessed Child Opera e Ulan Bator, nonché produttore nella sua etichetta indipendente Seahorse Recordings, con cui i nostri Safir Nou pubblicarono Liminal. Il set è una combinazione di post punk esoterico, kraut rock, musica folk cantautorale e world music. In meno di quaranta minuti si sono avvicendate le influenze più disparate: da Brendan Perry dei Dead Can Dance alle atmosfere destrutturate dei tedeschi Einsturzende Neubauten, fino a suoni ipnotici del vicino Oriente che ricordavano gli esperimenti di Popol Vuh e Amon Duul II. In questo vortice di suoni e latitudini, la melodia e la componente “pop” era affidata alle influenze di Franco Battiato, nel cantato, e ai synth dei Depeche Mode. Tra riverberi e distorsioni, i The Big Self hanno dato una buona impressione, con ritmiche dilatate e coinvolgenti al limite del trip.
I Black Black Istanbul, power duo proveniente da Seneghe, hanno pubblicato nel mese di settembre il loro secondo lavoro, Driving Full Throttle. La band, che a giugno aveva aperto il concerto degli Skunk Anansie, ha intrattenuto il pubblico con uno spettacolo senza momenti di pausa e stacco, se non quelli in cui si lasciavano andare a passaggi strumentali e psichedelici. Un live set carico di groove, tra stoner e hard rock, in cui si sono alternate influenze di power duo come Royal Blood, Death From Above, White Stripes e Black Keys. Oltre a queste sonorità, il concerto ha visto la presenza di stoner rock di matrice classica e hard blues di fine anni settanta, senza dimenticare una certa vicinanza con i primi Black Sabbath.
I TRRMÀ sono un duo strumentale siculo pugliese, precisamente di Bari e Messina, composto da Giovanni Todisco (batteria e percussioni) e Giuseppe Candiano (sintetizzatori). I due musicisti hanno alle spalle percorsi musicali personali, soprattutto nella scena noise ed elettronica, che li hanno portati a unire le forze e suonare insieme dal 2015. Il risultato è una combinazione tra due mondi e modi di suonare: da un lato la batteria e le percussioni, tra jazz(core), funk, tribal e math-rock, dall’altro la componente sintetica e sperimentale dei loop, synth e suoni oscuri, glitch, ritmi e avanguardia sperimentale. Si assiste a un’esplosione di sonorità e stili e sottogeneri dell’elettronica contemporanea, che si combinano in modo frenetico, con rimandi a gruppi come Battles, Future Sound of London e Prodigy. Lo spettacolo offerto dai TRRMÀ, un vero e proprio vortice di suoni e stili, è stata una piacevole sorpresa e il loro groove cibernetico ha preparato il terreno per il momento più atteso: il concerto dei Calibro 35.
Questo non è il primo concerto dei Calibro 35 in Sardegna, come ricordato dallo stesso Enrico Gabrielli tra un brano e l’altro. I Calibro hanno macinato km in giro per la penisola, salendo sui palchi più disparati per dimensioni e importanza in questi quindici anni di carriera. Nel 2023, infatti, festeggiano questo traguardo insieme alla pubblicazione di Nouvelles Aventures (Universal Music Records), insieme al nuovo bassista Roberto Dragonetti. Quest’ultimo, che ha alle spalle studi al Conservatorio e una carriera di supporto ad artisti come Ghemon, Nic Chester e Diodato, ha sostituito Luca Cavina, presente nella band sin dagli esordi. Il gruppo milanese, attivo dal 2007, ha pubblicato in studio undici lavori, l’ultimo dei quali segna un deciso ritorno alle sonorità che avevano decretato il grande successo della band, con il loro mix di sonorità ormai inconfondibile e che ha contribuito a riportare in auge l’epoca d’oro delle colonne sonore poliziesche italiane degli anni settanta. In occasione del KME il repertorio proposto ha attraversato l’intera carriera e ha galvanizzato i presenti. La sala gremita ha applaudito senza risparmiarsi e ha potuto saggiare la bravura tecnica e il groove di una delle realtà musicali migliori in Italia. Un concerto dei Calibro 35, almeno una volta nella vita, è un imperativo morale da soddisfare.
Terza serata
Sabato 2 settembre si è aperto con l’esibizione di Marta Loddo per voce sola e live electronics: un viaggio di conoscenza e scoperta iniziato tanti anni fa e in questo frangente molto prossimo alla black music, al new soul, alle nuove frontiere del suono cibernetico che arriva dagli States. La sua è una proposta che si evolve velocemente e non è dato sapere quali saranno i prossimi scali.
A seguire il set dei Random Neueklang, un progetto formato da Marco Achenza e Domenico Canu che si ripercuote nella notte cagliaritana evocando lontani fantasmi di electro pop, synth wave e cose simili. Entrambi impegnati a manovrare apparati elettronici che sono la giusta base per composizioni che sanno di oscurità, di alienazione urbana e una buona dose di malinconia post-industriale come nelle migliori pagine dei primi Depeche Mode. Un sound scarno ma potente e la giusta voce per raccontare storie ed emozioni che non conoscono la misura del tempo. Un’esperienza che arriva da lontano ma che è sempre più attuale.
Un altro progetto in divenire è quello di Dalila Kayros che combina in modo eccelso una voce che evoca rituali ancestrali, incubi postindustriali, lamenti e urla che turbano e incantano con una base elettronica creata da Danilo Casti vero motore propulsivo di questa cavalcata elettronica dai toni oscuri e inquietanti. Per l’occasione hanno proposto brani dai loro ultimi lavori (soprattutto Animami uscito quest’anno), ma anche testato alcune nuove composizioni che confluiranno nelle loro prossime produzioni sonore. Sono reduci da una lunga e fruttuosa tournée americano-messicana e si capisce che il loro sguardo è rivolto oltre i confini di quest’isola. Fanno bene a crederci, hanno mezzi e potenzialità per prendersi le giuste soddisfazioni e sono maturi per qualsiasi scenario.
La data del 2 settembre si chiude con “DNA, lo spettacolo che fa scienza!”, una produzione originale a tema scientifico, patrocinata dalla Fondazione AIRC: il filosofo evoluzionista Telmo Pievani è la voce narrante attorno alla quale ruotano i Deproducers, band in cui figurano volti noti della scena musicale italiana come, Gianni Maroccolo, Riccardo Sinigallia e Roberto Angelini e altri musicisti che vanno e vengono. Un’opera originale, adatta a un vasto pubblico, nata con lo scopo di fondere la divulgazione del sapere con uno spettacolo musicale immersivo e coinvolgente. E quando suonano si percepisce una storia lunga e gloriosa, un riassunto della migliore musica italiana degli ultimi 30 anni (e anche qualcosa di più).
Per la seconda sera consecutiva l’aftershow è stato curato da Agostino Chironi, che ha offerto una selezione di dischi e brani azzeccata e intrigante, con un djset all’altezza dell’edizione.
La conclusione del Karel – domenica 3 settembre – è affidata all’elettronica di Niccolò Angius, producer e musicista noto al pubblico con lo pseudonimo Angus Bit. La sua elettronica, tra jazz, lo-fi e sentimentalismi bristoliani, ha creato l’atmosfera adatta e avviato il festival verso il suo epilogo. La giornata era cominciata con il duo Il Violino, accompagnamento sonoro per creare la giusta cornice per la degustazione dei vini Agrologica, sottolineando come musica e territorio siano un binomio azzeccato, e si è conclusa con la performance di Giacomo Deiana, raffinato chitarrista e compositore o meglio un “assemblatore di parole e note, in ordine poco meno che casuale” come lui stesso ama definirsi.
Nel nostro archivio trovate i report e le gallerie fotografiche delle ultime edizioni del Karel Music Expo, a cura della redazione di Sa Scena, tra cui il live report KME 2022.