Quello della riappropriazione e del riuso sono concetti molto cari, tanto al jazz quanto all’hip hop. Nel primo gli standard sono sempre stati reinterpretati al fine di ricavarne nuovi spunti, mentre nel secondo i sample altrui hanno sempre costituito un’inesauribile fonte per sviluppare basi e beat. Un brillante lavoro di fusione di queste due tendenze è stato fatto nell’ultimo LP di Angus Bit, intitolato, non a caso, Jazz Things and Other Stuff.
Dietro lo pseudonimo gastronomico si cela Nicolò Angius, producer attivo da quasi dieci anni che ha già dato alle stampe l’ottimo Grasshopper del 2019 e una manciata di EP durante il 2020, nei quali ha saputo convogliare soul, blues, jazz e rap in maniera semplice e diretta, senza sensazionalismi di sorta, mostrando di voler portare avanti, con un piede nel passato e lo sguardo in avanti, un interessante percorso di ricerca fortemente ancorato alla musica black dei padri fondatori.
In quest’ultimo album l’intervento effettuato è probabilmente ancora più raffinato dei precedenti, nonostante la patina low-fi di cui è stato rivestito, comunque genuina per l’opera di mix&match e beatmaking fatto tra le mura di casa (vedasi i video di Live Toghether e Smoking Cole in versione short home session pubblicati su YouTube). Come dichiarato dall’autore “Jazz Things and Other Stuff, that is everything I wanted to play is on the record. The citations of vinyl records, that allowed me to be manipulated, are purely intentional”. Un viaggio, quindi, tra gli ascolti del musicista, nel quale pare chiara l’intenzione di riportarne degli estratti ragionevoli a una dimensione più verace e accessibile, attraverso una loro semplificazione filtrata da beat, scratch ed elettronica.
Il cercato e manifesto citazionismo (Ornette’s Feelings, In a Silent Way, Smoking Cole, Whistling Man) attraverso il quale vengono riproposte tracce edite, quasi standard, condite con fruscii vinilici alternati a suoni d’ambiente, fa il pari con le basi essenziali e molto eighties che ne scandiscono i tempi ipnotici ed estremamente dilatati (Live Together, Piece of Mind, Orange Clouds, Nocturnal). Un lavoro avviato già qualche anno fa da producer come Romare e XXYYXX – e, volendo, ancora prima da buona parte della scena trip-hop di Bristol – che rimanda a tendenze di contaminazione, con epicentro nel Regno Unito, ormai tratti distintivi e trasversali di una scena internazionale ampiamente confermata. L’intento era quello di ricreare dei suoni da cameretta, buoni per lo studio o il relax; il risultato è qualcosa però di più ampio respiro, che va ben oltre la dimensione casalinga e all’interno del quale persino brani come Zizzimurreddu – fresco divertissement a base di trunfa, launeddas e tenore – trovano ragione di esistere. Un’altra brillante intuizione di Talk About Records (rafforzata dalla recente uscita del disco in formato fisico), che si conferma essere una delle etichette regionali più prolifiche sul piano della qualità del proprio catalogo e dell’audacia nel travalicare i confini del blues che l’ha tenuta a battesimo.