Isole che Parlano - Paolo Angeli - Nanni Angeli - Isole che Parlano di Musica - festival - Palau - 2020 - Sa Scena Sarda

Isole che Parlano, le giornate del 12 e del 13 Settembre

Simone La CroceLive report

Il racconto delle ultime due giornate della ventiquattresima edizione del festival

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La mattinata del sabato è dedicata all’improvvisazione. La macchina organizzativa del festival migra a Luogosanto, dove prende forma Tocos e Repicos, performance nella quale il trombettista Arricardu Pitau, nel piazzale la Basilica di Nostra Signora di Luogosanto, incontra i Campanari locali, abbarbicati nel campanile retrostante. In un set totalmente estemporaneo, Pitau si ritrova ad accodarsi alle ritmiche ossessive delle campane, in un esperimento talmente riuscito da distinguere a fatica anche gli stacchi preventivamente concordati. Colpi incessanti, a tratti sincopati che si ammorbidiscono solo per dare respiro ai campanari e consentirgli l’avvicendamento alle corde, con Pitau che fa giusto minimi cenni verso il campanile e improvvisa qualsiasi tipo di linea melodica, riuscendo ad anticipare i crescendo e i diminuendo dei campanari. Senza peraltro rinunciare alle sue proverbiali boutade, come quando dice “La dimostrazione che non ci possa essere musica tradizionale, folk e etnica senza campanilismi”, lui, campidanese in piena Gaddura. Paolo Angeli gli ricorda il suo background di launeddas e solitu e chiede un bis in maggiore, che il trombettista omaggia con tanto di passu torrau.

Isole che Parlano - Isole che Parlano di Musica - Riccardo Pittau - Gli Amici di Matteo Campanari di Locusantu - Daniele Fadda - festival - Luogosanto - 2020 - Sa Scena Sarda - 12 settembre 2020
di Musica – Riccardo Pittau – foto di Daniele Fadda

La migrazione prosegue verso il Palazzo di Baldu, complesso medioevale della curatorìa di Balaiana, immerso tra i lecci delle campagne luogosantesi, dove la kora di Jabel Kanuteh si confronta con gli strumenti della tradizione maliana di Kalifa Kone. Prima dell’esibizione viene dato ampio spazio alla masterclass di approfondimento, moderata da Paolo Angeli. Entrambi i musicisti sono griot e, a turno, provano a descrivere i contorni di questa importante e poliedrica figura diffusa nell’Africa occidentale, comune a culture anche molto diverse fra loro, come quelle del Gambia e del Mali. I griot sono un fondamentale punto di riferimento per le comunità, intermediari nei dissidi, ambasciatori, depositari della cultura (“griot come biblioteca” precisa Kalifa), e, allo stesso tempo, poeti, cantori e, spesso, musicisti. I docenti colgono così la palla al balzo per smontare, tra il serio e il faceto, alcuni luoghi comuni, sciocchi e folkloristici, sulla musica africana, come quello che vuole tutti i neri suonatori di bonghi e con la musica nel sangue. Una profonda premessa sulle potenzialità comunicative della musica conclude il dibattito e i due musicisti, che mai avevano suonato prima d’ora, iniziano l’esibizione.

Sinuosi arpeggi di kora si snodano sulla base ritmica di tamà, tamburo a forma di clessidra noto anche con il nome di talking drum. Caratterizzato da una serie di corde che, tese con il bicipite, variano l’intonazione delle pelli, permette al musicista una gamma di suoni estremamente varia, tanto che, a discapito delle aspettative, sembra di avere davanti un Martin Bulloch in forma di grazia. La diversità delle culture, precisata in apertura, si ridimensiona via via e le distanze si annullano come se in realtà avessero attinto sempre allo stesso pozzo e suonato insieme per anni. A conferma del debunking della premessa, i brani suonano lontani dalle musiche stereotipate che attribuiamo a certe zone dell’Africa, segno della scarsa conoscenza che se ne ha alle nostre latitudini, ma anche evidenza della curiosità e dell’audacia dei musicisti; le influenze che è possibile scorgere sono infatti figlie del loro suonare in giro per il mondo, conferma che la direzione artistica del festival ha avuto più di un occhio – e un orecchio – di riguardo verso l’avanguardia e tutto ciò che mostra un lato diverso rispetto a quanto il loro pubblico sia abituato ad ascoltare.

Isole che Parlano - Isole che Parlano di Musica - Jabel Kanuteh - Kalifa Kone - Daniele Fadda - festival - Luogosanto - 2020 - Sa Scena Sarda - 12 settembre 2020
Isole che Parlano di Musica – Jabel Kanuteh e Kalifa Kone – foto di Daniele Fadda

Nel tardo pomeriggio si torna nuovamente a Palau, al sicuro tra le mura della Fortezza di Monte Altura. Ai piedi della scalinata si schierano Franco Corrias, Cosimo Mureddu, Maurizio Bassu e Salvatore Musina, rispettivamente boghe, bassu, contra e mesu boghe del Tenore Murales di Orgosolo, che avrebbe dovuto accompagnare il concerto degli Ilienses, purtroppo non presenti al festival. Il repertorio è quello monolitico di una vita, che lascia sempre a bocca aperta gli spettatori poco avvezzi al canto gutturale, ma che per questa esibizione riserva comunque delle sorprese. L’esecuzione dei brani dal loro ultimo lavoro del 2018, No sias isciau (Non essere schiavo), permette infatti al pubblico di apprezzare le diverse modalità di esecuzione della tradizione orgolese. Da sempre politicamente attivo, il Tenore non ha mancato di toccare, nelle tematiche dei brani proposti, temi attuali come l’antimilitarismo, l’emigrazione, il colonialismo e l’identità culturale, facendo così del canto uno strumento di denuncia sociale e della musica “linguaggio universale”, come loro stessi cantano in chiusura di esibizione prima di salutare il pubblico.

Isole che Parlano - Isole che Parlano di Musica - Tenores Murales di Orgosolo - Daniele Fadda - festival - Palau - 2020 - Sa Scena Sarda - 12 settembre 2020
Isole che Parlano di Musica – Tenores Murales di Orgosolo – foto di Daniele Fadda

La sera si torna alla sperimentazione con l’esibizione del violoncellista Francesco Guerri, che presenta il suo ultimo disco, Su Mimmi non si spara!, il cui titolo riprende un’esclamazione della moglie, diretta al figlio maggiore colpevole di puntare la sua pistola ad acqua su Mimmi, il fratello piccolo, tutti peraltro presenti all’esibizione. L’uso poco convenzionale dello strumento, al quale le esibizioni del festival hanno ormai abituato il pubblico, determina un’esecuzione molto teatrale, non scenica, ma musicale, alla continua ricerca dell’evocazione di movimenti, colpi di scena, pause e tempi morti. Nonostante la rinuncia all’ausilio di effetti o loop station, la sua esibizione cattura, stupisce ed emoziona a ogni passaggio, con continui cambi di tempo, salti di corde e un’attitudine giocosa che maschera la sua incredibile tecnica di esecuzione.

Isole che Parlano - Isole che Parlano di Musica - Francesco Guerri - Daniele Fadda - festival - Palau - 2020 - Sa Scena Sarda - 12 settembre 2020
Isole che Parlano di Musica – Francesco Guerri – foto di Daniele Fadda

Dopo un rapido cambio palco, il maliano Kalifa Kone torna a suonare, questa volta, accompagnato da Pasquale Mirra, vibrafonista di fama e prestigio, ormai, internazionali. Con quest’ultimo al vibrafono elettrico e Kone al filén (una zucca tagliata a metà), il duo parte con una lunga composizione introduttiva di atmosfera e tappeti sonori degna del Davis di In a Silent Way, scurita dagli effetti di Mirra, in particolare dal bending sulle note del vibrafono. Quando Kalifa dà corpo e forma ai ritmi, le ambientazioni si addensano, si delinea il groove e le musiche si fanno ballo. L’Africa viene, chiaramente, chiamata in causa per tutto il set da entrambi, ma con discrezione e rispetto, mai forzatamente e mai più del dovuto. Quando Kalifa passa allo ngoni, è lui a intessere le trame sonore, ma i due si alternano anche alle parti ritmiche, concedendosi reciprocamente spazi per lo sviluppo delle melodie. L’esibizione sembra dividersi in quattro parti, scandite dai diversi strumenti suonati dal maliano. Al filén e al ngoni si aggiungono infatti anche il tamà e, in conclusione, il balafon, una sorta di marimba primordiale, con le zucche a far da risonanza ai legni. La coda del set vede così confrontarsi due generazioni diverse di strumenti, l’origine e il contemporaneo, due modi di concepire la tecnica che provano a fare dei passi l’una negli spazi vitali dell’altra, senza prevaricazioni, altro importante concetto ribadito con forza e tenacia dal festival. Questo diventa il momento topico dell’esibizione, nel quale anche Mirra dà libero sfogo alla sua visione jazzistica, mentre Kalifa conferma il suo incredibile talento musicale, dimostrandosi in grado di suonare, con estreme precisione e padronanza, strumenti tanto diversi tra loro. Ed è subito grande attesa per l’uscita del loro disco che i due annunciano dal palco.

Isole che Parlano - Isole che Parlano di Musica - Pasquale Mirra - Kalifa Kone - Daniele Fadda - festival - Palau - 2020 - Sa Scena Sarda - 12 settembre 2020
Isole che Parlano di Musica – Pasquale Mirra e Kalifa Kone – foto di Daniele Fadda

Domenica, giornata conclusiva del festival, ci si sposta nei pressi della chiesetta campestre di San Giorgio, in un territorio frequentato fin dal prenuragico e sempre considerato sacro dalle popolazioni locali.

Il primo a esibirsi è Simone Soro, violinista di formazione classica reduce dal suo recente soggiorno forzato – causa Covid – in Niger, dove si era recato per un progetto umanitario tra i rifugiati dei campi di UNHCR, salvati dalla Libia. Presenta il suo ultimo lavoro, “Me in loop”, avvalendosi della loop station per disporre strati su strati di suoni creati con il suo violino, che, ora pizzicato, ora accarezzato con l’archetto, crea linee di basso e veli di note. Si mette coraggiosamente a nudo di fronte al pubblico, raccontando, a parole e con musiche romantiche, delicate e minimali, i dettagli intimi celati dietro i titoli dei brani (Ansia, Nostalgia, Solitudine, Ricerca, Scelta, Entusiasmo), nei quali sono evidenti le influenze della classica contemporanea, ma anche quelle balcaniche e tzigane, in un’interessante fusione di formalismo, rigore e ricerca.

Isole che Parlano - Isole che Parlano di Musica - Simone Soro - Daniele Fadda - festival - Palau - 2020 - Sa Scena Sarda - 13 settembre 2020
Isole che Parlano di Musica – Simone Soro – foto di Daniele Fadda

Chiamati all’ultimo momento a sostituire i Freak Motel, altri grandi assenti al festival, si sono esibiti i Moti Mo, trio formato dal percussionista Alessandro Cau, da Tancredi Emmi al basso e Marco Coa al rhodes e alle tastiere. Rispetto al disco omonimo uscito nell’aprile 2017, nella dimensione live il trio suona con più slancio e libertà, riuscendo così a uscire dagli schemi imposti dallo studio di registrazione e a dare maggiore vitalità ai brani, e proponendo un jazz che si tinge di funk e rock, e che pesca a piene mani tanto dai suoni dei poliziotteschi anni ‘70, quanto dal certe avanguardie prog. Il versatile Arricardu Pitau entra a sorpresa al secondo brano, inserendosi alla perfezione tra le geometrie del trio e mostrando quanto una tromba come la sua possa sferzare e completare il sound della formazione. Si alternano così brani di atmosfera, con groove gonfi ed echi psichedelici, a esperimenti di rumorismo improvvisato, durante i quali Alessandro Cau smonta la batteria e percuote qualsiasi cosa, comprese pentole e coperchi di latta, come un bambino discolo e curioso. La tecnica sopraffina dei musicisti e le loro sortite più sperimentali catturano l’attenzione e gli applausi di un pubblico entusiasta, specie nelle parentesi più rock che rievocano Deep Purple, Pink Floyd e Grateful Dead. Sul finale Pitau torna sul palco e, dopo una lunga suite che sfocia in un tiratissimo pezzo jazz core, la band stende un groove RnB sul quale il trombettista improvvisa un rap in campidanese, tra invettive a tema pandemico e ringraziamenti agli amici di una vita che hanno organizzato il festival.

Isole che Parlano - Isole che Parlano di Musica - Moti Mo - Daniele Fadda - festival - Palau - 2020 - Sa Scena Sarda - 13 settembre 2020
Isole che Parlano di Musica – Moti Mo – foto di Daniele Fadda

L’ovazione finale e il bis concesso a grande richiesta chiudono definitivamente un festival che ha mantenuto le promesse, concretizzando proclami che, spesso, fanno solo da riempitivo per flyer e locandine. Isole che parlano ha saputo davvero fondere modernità e tradizione, mettendole sullo stesso piano e riconoscendo a entrambe uguale dignità, musicale e culturale. Ha saputo davvero valorizzare il territorio, pur tra le tante difficoltà imposte dalla pandemia e da una scarsa attenzione degli amministratori locali, cercando sempre il giusto equilibrio tra location ed esibizioni. È riuscito davvero a indagare tra i migliori talenti isolani, premiando il coraggio e la lungimiranza di tanti artisti che, spesso, rimangono all’ombra di nomi altisonanti che ne offuscano la visibilità. È stato davvero in grado di aprirsi e far parlare isole distanti, creando dialogo tra musiche e culture molto diverse tra loro e dando vita a esibizioni che hanno reso palese questo nobile intento nel migliore dei modi, ovvero attraverso la musica.

Onorati di essere stati parte di questa grande famiglia, anche se solo per qualche giorno, rinnoviamo i nostri complimenti a tutti e rimaniamo in attesa della prossima edizione, durante la quale il festival spegnerà la sua venticinquesima candelina.

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