Simone La Croce ha raggiunto la contrabassista Caterina Palazzi, che suonerà al festival venerdì 10 settembre.
Isole che parlano è un festival che Sa Scena ha sempre seguito con grande interesse, sia per la commistione di generi, location e collaborazioni, sia per la proposta musicale in sé. Quest’anno abbiamo accolto con estremo piacere la proposta degli organizzatori, Nanni e Paolo Angeli, di raccogliere le interviste di alcune delle musiciste che suoneranno durante il festival. La prima di queste è stata rivolta a Caterina Palazzi, contrabbassista che si esibirà con il suo progetto principale, Sudoku Killer, e in un inedito duo con la violista Valeria Sturba, voluto dagli stessi fratelli Angeli. La visione musicale di Caterina vede fondersi rock, jazz, noise e psych in una formula stimolante che rifugge in ogni modo dalle etichette di genere, condizione perfetta e presupposto ideale per la sua esibizione a Isole che parlano.
Hai iniziato con la chitarra nelle Barbie killers alla fine degli anni 90. Poi – folgorata, a quanto pare, dagli Zu – sei passata al contrabbasso. Anche secondo le statistiche, sono entrambi strumenti prevalentemente maschili. Ora che calchi anche, e soprattutto, palchi internazionali, credi che questa tendenza in Italia e in Europa, si stia in qualche modo invertendo?
Sono una persona solitaria ed estranea a tutti i circuiti, quindi non sento di avere la competenza e l’attenzione appropriate per valutare le questioni di genere nella musica. Però sì, ho l’impressione che, soprattutto in nord Europa – ma ovunque, anche in Italia – stiano aumentando le donne che scelgono strumenti finora più maschili, come la batteria, il sax o anche il contrabbasso.
Mi sembra che comunque siamo ben lontani da qualsiasi forma di gender equality e che spesso, almeno in Italia, le donne siano usate per “colorare” i cartelloni e dare loro una parvenza di parità…
Siamo ben lontani dalla parità, che presupporrebbe nei cartelloni dei festival la stessa presenza di uomini e donne, ma in maniera naturale e non per una scelta del direttore artistico, che cerca appositamente musiciste donne per dare spazio e incoraggiamento a una minoranza. Atteggiamento che, sebbene nobile e apprezzabile, testimonia che in Italia la società è ancora maschilista.
In diversi paesi europei stiamo assistendo anche a una tendenza all’abbattimento dei confini tra generi musicali, quindi maggiore contaminazione e una più proficua – musicalmente parlando – ibridazione tra stili anche molto distanti tra loro. Tu, che nel tempo hai incentrato la tua produzione musicale sulla sperimentazione e sulla contaminazione, suonando in giro per l’Europa, quali differenze di apertura hai riscontrato rispetto all’Italia?
Negli ultimi anni, soprattutto con mia la band, effettivamente suono molto più all’estero che in Italia. Oltre che per il piacere di unire la musica all’arricchimento interiore del viaggiare tanto, abbiamo l’impressione che i progetti ibridi e contaminati in Italia siano più difficilmente inquadrabili e dunque collocabili.
In Italia sembra esserci in effetti una scarsa apertura di certi ambiti più tradizionalisti e conservatori verso chi cerca di uscire dal seminato, cosa che, paradossalmente, si verifica anche in certi ambienti jazz. Cosa racconta la tua esperienza?
In Italia ho la sensazione che siamo troppo rock per i circuiti jazz, e troppo jazz per i circuiti rock.
E mentre in Europa questo è un punto di forza e curiosità, in Italia è penalizzante. Questo credo sia il motivo per cui nei jazz festival esteri ci chiamano spesso, mentre in Italia ultimamente siamo considerati “poco adatti” e quindi calchiamo più il circuito underground alternativo.
Beh, però sei stata invitata a Isole che parlano…
Questo sarà infatti l’unico concerto italiano che faremo questa estate. Isole che Parlano è un festival noto per dare spazio a contaminazione e originalità, senza preoccuparsi di inquadrare i generi di musica.
Ecco, la tua proposta musicale è difficile da inquadrare, ma a te non sembra che la cosa disturbi più di tanto. Anzi, sembri proprio rifuggire le etichette di genere musicale. Oggi, soprattutto con il progetto Sudoku Killer, sembri aver trovato un equilibrio non meglio definito tra jazz e rock. Cosa nei due modi di approcciarsi alla musica cerchi di riportare in quello che fai?
Del jazz mi piace la ricchezza armonica, l’apertura mentale di armonie e accordi. E soprattutto mi piace l’approccio alla libertà e l’improvvisazione, di cui al momento non potrei fare a meno. Anche se nella musica di Sudoku Killer l’improvvisazione non è mai libera, come nel free jazz, ma si muove all’interno di dinamiche e direttive ben definite nella composizione. La struttura è scritta e ogni pezzo è un racconto con una trama da rispettare. Per l’alto rischio di ricadere negli stessi schemi e negli stessi suoni, personalmente trovo più noiosi e vincolanti i concerti impro in cui si è solo in apparenza totalmente liberi.
Mentre con il rock?
Del rock amo soprattutto la botta emotiva, è la musica che mi fa accapponare la pelle per eccellenza.
Se un concerto, per quanto interessante, non è emozionante, per me non vale la pena di essere ascoltato. E poi c’è la violenza del suono distorto che fa fuoriuscire aggressività e rancore, emozioni radicate in tutti gli esseri umani e che necessitano di una valvola di sfogo, invece che restare repressi.
Da piccola ho chiesto di imparare la chitarra quando ho sentito il riff iniziale di Jumpin’ Jack Flash dei Rolling Stones. È stata la prima volta che ho sentito un amabile dolore al cuore e ho capito che avrei fatto la musicista per sempre (all‘epoca come chitarrista punk).
Hai detto “Credo che uno dei motivi per cui ciò che faccio suoni abbastanza originale è che ho ascoltato poche cose”. Per certi versi mi trovi abbastanza d’accordo, ma l’ascolto e la conoscenza dovrebbero essere presupposti fondamentali per chi fa sperimentazione. Ci puoi spiegare meglio?
Innanzitutto, tengo a puntualizzare che non considero la mia musica “sperimentale”, anche se spesso dall’esterno viene etichettata così, perché c’è sempre l’esigenza di inquadrare i musicisti in un filone.
Comunque: ascolto poche cose e molto attentamente, direi ossessivamente. Per esempio sono capace di ascoltare solo Bob Dylan per un anno intero divorandolo, interiorizzandolo, imparando ogni dettaglio a memoria.
Ascoltare troppe cose diverse mi manda in confusione, come quando si fa zapping compulsivo sulla tv e non si sceglie cosa guardare attentamente. Detesto YouTube, per esempio, che permette a tutti di trovare e ascoltare qualsiasi cosa, con scarsissima qualità audio, e di passare da un video a un altro senza nemmeno aver finito di godersi il precedente. Non ascolto nemmeno musica di sottofondo mentre faccio altro: se ascolto un disco, mi metto sul divano e mi concentro solo sulla musica.
Per trovare il mio linguaggio espressivo ascolto poco ma bene. Inoltre, raramente trovo stimoli musicali nella musica degli altri; li ho sempre cercati molto di più nella letteratura e nel cinema.
Bene, ora parlaci un po’ di te e del progetto che porterai a Isole che parlano quest’anno. Suonerai in due diverse formazioni. Venerdì alle 18:30 a Cala Marinella, in duo con Valeria Sturba, e a Punta Palau, alle ore 21;30, con la tua formazione principale, i Sudoku Killer. Raccontaci un po’, in anteprima, cosa deve aspettarsi il pubblico di Isole.
Il concerto in duo con Valeria Sturba nasce da un’idea di Paolo e Nanni, che ci hanno proposto di incontrarci musicalmente improvvisando in un contesto naturalistico. Ho accettato con entusiasmo perché lei mi piace molto, l’ho sentita dal vivo per un festival in cui condividevamo il palco e mi ha colpito parecchio la sua originalità, qualità che considero più importante tra tutte. Cosa succederà in questo concerto sarà una sorpresa anche per noi, che interagiremo in tempo reale anche con l’ambiente circostante.
Con la mia band Sudoku Killer, invece, avremo finalmente modo di presentare anche in Italia l’album “Asperger”, prodotto dalla bellissima etichetta portoghese Clean Feed Records e che per ora è stato suonato quasi esclusivamente all’estero. È un disco cupo, psichedelico e contaminato, più che a un concerto si assiste a un viaggio ipnotico nei meandri della mente umana, che nello stesso tempo è attratta e impaurita dal lato oscuro di ciascuno di noi.
Infine raccontaci un po’ a cosa stai lavorando ultimamente. Nuovi progetti, nuovi dischi?
Con Sudoku Killer è in preparazione il quarto album, un ulteriore passaggio della mente umana nell’oscurità: ogni brano dell’album è dedicato a una sindrome psichiatrica (come da tradizione della band, ogni titolo degli album anticipa il contenuto del successivo). Quindi il titolo del terzo album, “Asperger” (la sindrome), che ha come protagonisti cattivi dei cartoni animati della Disney, già svela il contenuto del quarto disco. Una filosofia un po’ cervellotica e matematica, degna di un progetto che si chiama Sudoku. Uscirà sempre per la Clean Feed, ma a causa di questo periodo di blocco pandemico i tempi di sono un po’ allungati.
Nel frattempo sono perpetuamente in tour europeo con il mio progetto solista Zaleska, una performance audiovisiva noir dedicata ai vari attori che negli anni hanno impersonificato il personaggio di Dracula nella cinematografia.
Infine ho varie collaborazioni più improvvisate in duo con musicisti italiani; una nuova in particolare a cui tengo molto è con la violista sperimentale Ambra Chiara Michelangeli, in cui tendiamo a creare atmosfere d’archi orchestrali.
Questi progetti e tutto quello che hai fatto finora dimostra una tua profonda attitudine al cambiamento costante. Che direzione vorresti che prendesse il tuo sound e il tuo modo di comporre nel futuro prossimo?
Nel prossimo disco di Sudoku, per esempio, ci sarà più surrealismo musicale: parlerà di sindromi psichiatriche e quindi ci sarà dentro una buona dose di follia e l’impertinenza del passare da un estremo a un altro senza passaggi graduali. Sarà un disco schizofrenico.
Durante la pandemia ho avuto modo di studiare di più e mi sono appassionata nuovamente alla musica classica. Attualmente sul contrabbasso sto usando più l’arco che il pizzicato, e non finisce mai di sorprendermi la quantità di possibilità espressive e sonore di questo strumento. Mi piacerebbe provare a sviluppare a breve una sorta di orchestra d’archi moderna.
Infine vorrei continuare a percorrere la strada da poco intrapresa della sonorizzazione live dei film muti noir. Ora sto portando in giro il Nosferatu di Murnau del 1922. Quello cinematografico è per eccellenza il contesto in cui posso passare continuamente da un sound ad un altro senza la spinosa domanda “ma che genere è?”