Isole che Parlano 2023 - Foto di Francesco Conversano

Isole che parlano 2023, il report

Simone La CroceLive report

Per il quarto anno consecutivo abbiamo seguito , il festival internazionale ideato e diretto da Nanni e Paolo Angeli, che, ancora dopo quattro anni, riesce a sorprendere e a riservare spunti di riflessione su cosa può essere un festival musicale, su come ci si può approcciare alla sua realizzazione e su quali aspetti si può far leva per mantenere alto l'interesse della propria platea. 

Isole che parlano non è un festival come gli altri, lo abbiamo ripetuto in tante occasioni, forse per ogni edizione che abbiamo seguito. È una manifestazione relativamente contenuta, con un target di qualche centinaio di persone per evento. Dietro c'è un grande lavoro organizzativo e decisionale, sia sugli aspetti logistici, sia su quelli prettamente artistici. C'è un'accurata scelta degli spazi e delle ambientazioni in cui tenere i concerti: il territorio offre un'ampia gamma di soluzioni, ma attuarle con successo e senza intoppi richiede un grande impegno. E c'è anche una grande attenzione ai progetti musicali che vengono selezionati per i live, rivolta senza dubbio ai progetti in sé, alla bravura dei musicisti, al livello di sperimentazione e di innovazione da essi perseguito e alla loro attinenza con la linea seguita dal festival. Tutti aspetti non facili da esplorare, specie quando la linea seguita non si identifica con un genere, un pubblico o un'esigenza specifica. 

Di Granito a Capo d'Orso (Palau) – Credits Francesco Conversano
Di Granito a Capo d'Orso (Palau) – Foto di Francesco Conversano

Ma c'è un altro livello di cura che viene dedicata alle scelte artistiche operate all'interno della manifestazione, ed è l'attenzione alla musica in quanto espressione artistica risultato di sintesi tra il musicista e il suo strumento, aspetto meno scontato di come potrebbe sembrare. A Isole è normale poter assistere a esibizioni con strumenti atipici, perché inusuali, sofisticati o suonati in modo non ordinaria. Cosa che nella maggior parte dei casi porta ad assistere a quelle riletture di genere che sono il piatto forte del festival, combo che affascina tanto i musicisti e i semplici appassionati, quanto il pubblico meno avvezzo. Non è un caso che la mattinata alla Chiesa di San Giorgio sia dedicata ogni anno a una sorta di masterclass durante la quale un musicista mostra come sia possibile suonare uno strumento, conosciuto o meno ai più, in maniera poco convenzionale, come tecnica di esecuzione, bravura o semplicemente capacità di tirarci fuori dei suoni che non ci si aspetterebbe. 

Raúl Cantizano alla Chiesa di San Giorgio (Palau) – Credits Francesco Conversano
Raúl Cantizano alla Chiesa di San Giorgio (Palau) – Foto di Francesco Conversano

Due anni fa Davide Ambrogio aveva reinterpretato la tradizione calabresi con lap steel, zampogna e loop station. L'anno scorso è stata invece la volta del conterraneo Alessandro Santacaterina, con la sua chitarra battente, e dei turchi Melisa Yildirim e Ozan Baysal, suonatori rispettivamente di saz e kemancheh. Quest'anno invece è stato Raúl Cantizano a mostrare al pubblico la sua chitarra (non a caso) preparata e il suo modo di approcciarsi al flamenco, con effetti, elettronica e tanta rispettosa irriverenza. Per esempio mandando una dichiarazione dello studioso andaluso Manuel Lisardo Bowie nella quale dice, a proposito delle origini del flamenco: “Lo que no podemos afirmar es que es de raiz cartesica, puesto que aqui en esta region hubo influencias de ningunas invasiones y aqui como un nido se ha conservado todo puro y autentico”, e sparando poi in loop quel “puro y autentico”, a cui sovrappone una base electro e schitarrate molto poco fedeli alla tradizione. Dimostra comunque, senza lasciar dubbi, di essere un chitarrista di flamenco eccezionale, di conoscere a menadito la tradizione, di padroneggiare le diverse tecniche e che in fondo è possibile suonare la chitarra in ogni modo, anche percuotendola in tutti i modi possibili immaginabili, come poi fa lasciando il pubblico esterrefatto. Aggiunge poi che il flamenco è un'arte capace di incorporare qualsiasi cosa, ma sembra si riferisca a ogni genere, stile e forma. Paolo Angeli alla fine del set, riprende il discorso e parla di come il festival rivolga la sua attenzione a quelle che lui chiama “avanguardie mediterranee”, espressione della genialità del meticciato, per chiudere con un laconico “Viva i bastardi contemporanei!”. 

Duo IN a Cala Martinella (Palau) – Credits Francesco Conversano
Duo IN a Cala Martinella (Palau) – Foto di Francesco Conversano

Ma questa intenzione quasi divulgativa, sulle potenzialità dello strumento – inteso come manufatto in grado di produrre delle sonorità – e sulle possibilità che offre in termini di trasgressione rispetto a forme e stili consolidati, a Isole non viene relegata alle sole masterclass. Ne hanno dato prova anche buona parte dei musicisti inseriti in cartellone. A suo modo lo ha fatto chi si è esibito nelle due serate di anteprima nel weekend che ha preceduto la consueta quattro giorni, altra novità di non poco conto di questa edizione. E non certo un'anticipazione di second'ordine. Lo Spiralis Aurea Trio – progetto del chitarrista Stefano Pilia, vecchia conoscenza del festival, con i colleghi Alessandro Novaga e, direttamente da Bristol, Adrian Utley, chitarra e mente dei Portishead – ne ha dato dimostrazione sabato 2 settembre con le chitarre elettriche. E la domenica seguente lo ha fatto con il suo quintetto, suonando il suo primo disco solista, Ràixe, cantato in tabarchino e mediterraneo fino al midollo. O a Punta Tegge sull'isola de La Maddalena, con chitarre, percussioni ma, soprattutto, corpo e voce.

Lili Refrain a Punta Tegge (La Maddalena) – Foto di Francesco Conversano
Lili Refrain a Punta Tegge (La Maddalena) – Foto di Francesco Conversano

Stesso discorso per tutti i musicisti esibitisi nella giornata di venerdì 8, interamente dedicata alla scena olandese e realizzata grazie al contributo di Ambasciata e Consolato Generale del Regno dei Paesi Bassi. Curioso che il supporto per una giornata così intensa sia arrivato dalla rappresentanza diplomatica di uno Stato straniero a sostenere le esibizioni di musicisti di una diversa nazionalità, tra cui alcuni italiani. Paolo coglie la palla al balzo e in apertura, da buon migratore, sottolinea come tante scene siano fatte da musicisti che si spostano in paesi stranieri e che la nascita di nuovi linguaggi derivi proprio dall'incontro felice tra il loro background e l'humus che trovano nei paesi ospitanti.

Giuseppe Doronzo a Talmone (Palau) – Foto di Francesco Conversano
a Talmone (Palau) – Foto di Francesco Conversano

Giuseppe Doronzo a Talmone ha letteralmente smontato pezzo per pezzo il suo sax baritono fino a farlo suonare senza amplificazione solo bocchino e chiver. Quando con dei vocalizzi fa suonare solamente quest'ultimo o quando ne percuote solo il corpo, il suono del sax, così come siamo abituati a conoscerlo, diventa un lontano ricordo. Stessa cosa quando passa al ney-anban – una sorta di cornamusa persiana con duemila anni di storia – che suona in modo non troppo dissimile alle nostre launeddas, ma con tutt'altro registro melodico, respirazione circolare compresa e affidata alla sacca in pelle di capra. A Cala Martinella, il duo IN, formato dalla coreana Sun Mi Hong alla batteria e dallo scozzese Alistair Payne alla tromba, ha dato piena dimostrazione di questo concetto: estremamente sperimentale e destrutturatrice nell'anima la prima, lirista di stampo chiaramente cool il secondo, hanno trovato una chiave di coesistenza nelle frizioni tra i classico e avanguardista.

Ava Trio a Porto Faro (Palau) – Foto di Francesco Conversano
a Porto Faro (Palau) – Foto di Francesco Conversano

A Porto Faro, la sera, dove Paolo, nell'introdurre l'Ava Trio, ha parlato del jazz come terreno ottimale di incontro per i diversi linguaggi e di come oggi il jazz europeo – e in particolare quello mediterraneo – vada in quella direzione. E l'Ava Trio gli ha fatto eco mescolando musica greca, turca e salentina e portando gli strumenti tipici di quelle tradizioni fuori dal pantano del folklore per farli brillare di luce propria in orizzonti comunque contemporanei. Né con la festa della taranta, né con l'afrobeat, quindi. La formazione vede ancora Doronzo al sax, affiancato da Esat Ekincioglu, direttamente da Istanbul, al contrabbasso e Pino Basile sui tamburi a cornice e al cupaphon, una batteria membranofona di sua concezione ispirata al putipù pugliese. Il paragone fatto da Paolo con Conference of the Birds di Dave Holland è molto più che calzante. Al termine il pubblico si è diretto verso la spiaggia di Palau Vecchio e ad attenderlo ha trovato , richiamato durante la giornata da Paolo a più riprese. Alte aspettative quindi, ripagate tutte con un set rinnovato, fatto, sì, di cumbia e dub, ma con un piglio big beat che ha trascinato a ballare tutto il pubblico, fatto perlopiù da non fan, che però al termine lo ha implorato più volte di proseguire.

Francesco Bucci a Porto Faro (Palau) – Foto di Francesco Conversano
Francesco Bucci a Porto Faro (Palau) – Foto di Francesco Conversano

Lo hanno fatto Francesco Bucci e gli a Porto Faro, dopo il consueto pellegrinaggio alla Roccia dell'Orso del sabato, durante il quale hanno cantato il e il Tenore Santu Pretu de Locula. Bucci, già trombonista negli Ottone Pesante e con Caterina Palazzi, ha presentato il suo progetto solista , per il quale si puntella petto e gola con tanti piccoli microfoni e suona tuba e trombone sia con il fiato che con la voce, senza ricorrere all'espediente dei loop e delle sovraincisioni. Non semplice da spiegare, decisamente interessante da vedere e ascoltare: una roba in cui il musicista diventa strumento e viceversa, producendo un'amalgama di voci e suoni che rende quasi superfluo capire chi fa cosa e come. Gli Etceteral alzano ulteriormente l'asticella, aggiungendo all'offerta la componente visual e proiettando le grafiche realizzate in tempo reale da Lina Rica sul faro e sugli scogli. L'impatto è notevole e l'integrazione con l'elettronica di stampo craut mescolata a prog, free jazz, jungle e techno, creata dal Boštjan Simon al sax baritono e da Marek Fakuc˘ alla batteria, genera una “zuppa audiovisuale”, come la definiscono loro stessi, ipnotica e avvincente.

Etceteral a Porto Faro (Palau) – Foto di Francesco Conversano
Etceteral a Porto Faro (Palau) – Foto di Francesco Conversano

E non ha fatto eccezione neanche la matinée di domenica alle Tenute Filigheddu, dove la mescolanza tra background e tradizioni distanti anni luce è stata messa in musica dai Deep Frame Drums, trio composto dall'argentina Enza Prestia a percussioni, chitarra, voce, Olivia Bignardi al clarinetto e Edoardo Marraffa al sax, che, tra milonghe e free jazz, hanno alternato composizioni strumentali a canzoni standard accompagnate dalla chitarra e rafforzate dal pathos di Enza Prestia. L'esibizione all'Isola di Spargi del duo è stata un po' la summa di tutte le esperienze vissute da chi ha potuto esperire il festival. Le coreane Ha Su Yean e Hwang Hye Young hanno suonato sulla spiaggia di Cala Corsara rispettivamente gayageum e geomungo – strumenti a corda tradizionali assimilabili alle cetre – per presentare la loro personale visione delle prospettive offerte dagli strumenti stessi, derivata dalla pratica consuetudinaria e filtrata dalla sperimentazione. Il risultato, per le nostre orecchie, è un'ibridazione tra new classical e post-rock, chiaramente influenzata dai retaggi delle culture di provenienza, ma resa in termini minimalisti e contemporanei perlopiù fruibili dalla platea. 

Dal:um nell'Isola di Spargi (La Maddalena) – Foto di Francesco Conversano
Dal:um nell'Isola di Spargi (La Maddalena) – Foto di Francesco Conversano

Una platea, quella di Isole, probabilmente “educata” anche dal festival stesso, curiosa e sinceramente interessata, che sa essere discreta e rispettosa dei luoghi e delle situazioni, affezionata, ma anche occasionale, che sa di trovare un'esperienza esclusiva nelle situazioni e non nello spirito e nell'accoglienza, al contrario, caldi e aperti. Non l'esclusività dei pit o delle zone vip, ma quella, opposta, della totale assenza di palchi, che azzera la distanza tra spettatori e musicisti, peraltro in luoghi inconsueti la cui specialità è stata riconosciuta da tutti – davvero, tutti – i musicisti, evidentemente disabituati, come buona parte del pubblico, agli scenari meticolosamente scelti dagli organizzatori. In questo e in tutto il resto Isole si rivela essere terreno di uno scambio orizzontale e anti-gerarchico, sempre vantaggioso per tutte le parti in causa, musicisti, spettatori e organizzatori. Un altro dei tanti aspetti che lo rendono un festival diverso da tutti gli altri.

Saluto al mare alla spiaggia di Palau Vecchio – Foto di Francesco Conversano
Saluto al mare alla spiaggia di Palau Vecchio – Foto di Francesco Conversano