WhiteFang - Into The Woods - Luca Cadeddu Palmas - Talk About Records - Bandcamp - 2021 - Sa Scena - 15 gennaio 2021

Into The Woods – WhiteFang

Federico MurziMusica, Recensioni

Un salto nel buio: ecco come descriveremmo il passaggio di Luca Cadeddu Palmas, alias , dalle chitarre elettriche distorte dei The Defiance all’indie folk del suo esordio solista, Into the Woods.

Eppure, Luca Cadeddu il salto lo fa, senza neanche slogarsi una caviglia. Con il suo primo Lp non solo dimostra di essere un artista con molto da dire, ma anche di saper usare al meglio tutti i suoi mezzi. Sarà il piglio vocale, sarà la capacità di tessere melodie immediate ma non scontate, sarà il songwriting elegante, intimo e diretto, sarà il bordone di Yellow Wheat Fields che dà il via al disco (dice il saggio: “chi ben comincia…”) – qualunque cosa sia, è difficile restare indifferenti. Per amore di cronaca, alcuni prodromi di questa nuova forma erano già presenti nei repentini intermezzi folk dei lavori precedenti (si ascolti The Defiance, Rise, 2017, Seahorse). WhiteFang li ha mantenuti elevandoli a cardine su cui innestare un nuovo discorso, dove alla cristallina produzione artistica di Fabrizio Sanna, che ha curato arrangiamenti, missaggio e mastering, si affiancano maestranze esecutive degne di nota: WhiteFang alle voci e chitarre; Vito Cauli alla batteria; lo stesso Fabrizio Sanna ai sintetizzatori, basso, chitarra e, insieme ad Alberto Todde, voce in Yellow Wheat Fields; Fabio Manca al basso ulteriore nella muscolare e a tratti languida The centenary tree as the Oak above us

Il perimetro all’interno del quale ci si muove è ben delineato: a tratti ricorda il Bon Iver più orientato all’ibridazione elettronica, che come lo stesso Cadeddu rivela in un’intervista è fra i suoi ascolti prediletti, o la malinconia del primo Ben Howard. Mestizia palpabile in The Stain, nel suo cantato composto e a tratti sottile, nella sua iniziale pacatezza frantumata da un uptempo corroborato dagli ostinati alla Mumford & Sons, disegnati dalla chitarra acustica – un espediente stilistico che torna in Lucy. La dialettica quiete/animosità dei brani sembra essere la cifra stilistica del disco, anche se non mancano momenti di riflessione solitaria, come l’introspettiva Home (l’unico brano del disco a non avere la paternità di WhiteFang: il testo è di Piero Onida, la musica di Alessandro Manca e dei DISSENT), l’addio ideale, o forse un arrivederci che sa di ritorno a casa. E del resto, le liriche di tratteggiano paesaggi suggestivi, carichi di emotività, dove il senso di solitudine cerca, e trova, una via di fuga, un dialogo, un sostegno. Let it go, you are not alone, è il mantra della traccia di apertura, quasi a indicare (coerentemente) il percorso. 

Insomma: WhiteFang fa centro, in pieno. Se questo disco fosse una carta d’identità, la foto sarebbe perfettamente a fuoco. Per dirla con 2019, manifesto del disco ed epitome di tutti i suoi elementi: lost at last/ to discover that is fine to be me.

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