Ho conosciuto Kristina Jacobsen durante un suo concerto. Dall’inizio alla fine del live sono stata catapultata in un viaggio ricco di emozioni: in due ore di live mi ha fatto girare mezzo mondo, mi ha dato incredibili dritte musicali, mi ha raccontato aneddoti di vita e mi ha regalato un carico di positività e ispirazione.
Quando poi ho parlato con lei, dopo il concerto, ho ricevuto il colpo di grazia. Kristina è una cantautrice straordinaria che ha davvero tanto da insegnare e non perde mai l’occasione per cogliere qualcosa di nuovo da ogni persona che incontra. Ti trasmette costantemente una forte energia.
Per questo motivo l’ho contattata, là nel New Mexico e le ho chiesto questa intervista. Credo che possa davvero dare tanto un confronto con una persona come lei.
Intervista di Ilaria Littera
Ciao Kristina, innanzitutto ti ringrazio per la tua disponibilità! Iniziamo con le presentazioni per i lettori che ancora non ti conoscono: quali sono i progetti che porti avanti attualmente nella tua vita?
Vi ringrazio tanto per darmi l’opportunità di condividere la mia musica e I miei pensieri sulla mia vita cantautoriale. Sono antropologa culturale, etnografa, cantante/cantautrice e artista country.
Insegno anche nei laboratori di cantautorato dediti a chi vuole trovare la propria voce nella scrittura di canzoni emozionalmente autentiche e nella scrittura come forma di costruzione di una comunità e di scambio interculturale. Ho registrato due dischi e ho due progetti nuovi di zecca per il prossimo anno.
Il primo è un disco solista, dove lavorerò con l’ingegnere/produttore Meredith Wilder nella registrazione delle canzoni scritte nel corso degli ultimi due anni, comprese quelle scritte durante la mia permanenza nella Riserva Navajo, in Finlandia e in Sardegna.
Il tuo percorso si può definire decisamente variegato: da una parte l’antropologia, dall’altra la musica. Spiegaci come fai a far incontrare tra loro questi due aspetti.
Ho vissuto nella riserva degli indiani Navajo, a fasi alterne, fino ai diciassette anni.
Ho iniziato a studiare la lingua Navajo, insegnato in una scuola tribale, e molti anni dopo, sono diventata un’antropologa, completando una tesi sui gruppi occidentali dei villaggi Navajo, dove il mio lavoro sul campo consisteva in cantare e suonare una chitarra lap-steel con delle band nella riserva per due anni e mezzo.
Questo mi ha portato a pensare che cantare, suonare e scrivere canzoni sia una forma di lavoro sul campo e “di osservazione partecipata” sia in antropologia che in etnomusicologia. Questo studio è stato pubblicato nel libro The Sound of Navajo Country: Music, Language and Diné Belonging (2017).
Per me, cantautorato ed etnografia sono entrambe forme di arte basate sulla narrazione.
Sia le canzoni che le etnografie – studi approfonditi di una comunità in un determinato momento – servono per umanizzare i nostri interlocutori, aiutando sia gli ascoltatori che i lettori ad interessarsi di storie, mondi e comunità della quale pensavano non avrebbe importato niente.
Le storie, sia etnografiche che musicali, creano una connessione con gli altri, le quali, alla fine, creano anche una connessione con noi stessi e le nostre storie. Più di recente, questi due mondi si sono uniti nel lavoro di etnomusicologia applicata che sto facendo, insegnando il cantautorato in spazi di detenzione come il carcere maschile di Mariefred a Stoccolma, il carcere maschile di Uta, in provincia di Cagliari, con Gigi Oliva e in un laboratorio di cantautorato, di una settimana, che ho co-finanziato a Turku, in Finlandia, la scorsa estate, a rifugiati e richiedenti asilo politico provenienti da Iraq, Iran, Siria, Angola e Venezuela.
Nel corso della tua carriera musicale ti sei approcciata a diversi strumenti e diverse culture con la loro musica. Raccontaci come ti sei avvicinata alla musica e quali elementi di questo cammino ti hanno maggiormente segnata.
Sono cresciuta con un padre cantante folk e con una formazione in antropologia. Questi due elementi convergono in me e in mia sorella. Ci hanno portato a viaggiare, molto spesso, come famiglia, esplorando nuovi luoghi, nuovi cibi e nuovi stili musicali.
Siamo anche cresciuti cantando come una famiglia, e ho imparato a cantare armonie quand’ero molto giovane, soprattutto adoravo i momenti quando mio padre, che viveva in Norvegia come studente universitario, cantava canzoni incredibilmente belle e malinconiche della musica popolare norvegese che aveva imparato quando viveva là.
Attraverso il canto di queste canzoni, ho inoltre imparato a parlare il nuovo norvegese (Nynorsk), e in seguito sono stata capace di andare a viverci da sola per sei mesi durante I miei anni accademici. Così, la curiosità di conoscere comunità sconosciute e di avvicinarmi loro attraverso l’apprendimento delle lingue e del suono hanno avuto un ruolo molto istruttivo nel mio modo di socializzarecon il mondo, sia come essere umano che come musicista.
E ora una domanda difficile: da quali artisti ti senti più ispirata?
Ecco una domanda difficile! Per quanto riguarda il modo di cantare e l’estetica della voce e della chitarra, potrei dire mio padre, il cantante folk Ken Jacobsen.
In termini di scrittura e all’approccio di canzoni strettamente elaborate ed emozionalmente autentiche, direi che John Prine, Mary Gauthier, Gretchen Peters e Travis Meadows hanno influenzato il mio stile personale. Persone con la quale ho scritto hanno anche influenzato il mio suono e il mio modo di approcciarmi alla scrittura, in modo particolare nella loro composizione con la cantante/cantautrice Meredith Wilder.
In termini di coraggio nel narrare la mia verità nelle canzoni, e gente che modella quello per me, direi che i miei studenti di composizione all’Università del New Mexico e deilaboratoriin cui insegno sono quelli che lo fanno con la massima onestà e grazia: scrivono una canzone a settimana e tirano fuori materiali molto profondi della loro vita a cui possono accedere – i risultati sono spesso squisiti, sorprendenti, stimolanti e profondamente commoventi.
Ti trovi frequentemente a girare il mondo e spesso vieni a trovarci in Sardegna. Parlaci di questo sodalizio con la terra sarda: cosa ne pensi della scena musicale in Sardegna? Cosa pensi che le manchi?
Venni in Sardegna per la prima volta nell’autunno del 2016, come ospite dell’Università di Cagliari e del professor ed etnomusicologo, Ignazio Macchiarella. L’intera settimana fu magica – incluse molte somiglianze con I luoghi in cui ho vissuto e svolto lavoro di ricerca, la riserva degli Indiani Navajo – e, molto semplicemente, me ne innamorai! Da allora sono ritornata per periodi più lunghi, due volte, perché credo sia nell’importanza con luoghi specifici e nel porgere attenzione a queste essenze, essendo i luoghi importanti.
Negli Stati Uniti, comunque, vi è la sensazione che tutti i luoghi siano più o meno gli stessi, o più o meno uguali: non sono d’accordo!! Tutte le canzoni capitano in qualsiasi parte, come capita per le etnografie, e quindi, dopo averlo visitato per breve tempo, ho iniziato a chiedermi come sarebbero state le canzoni se fossero state scritte da queste parti.
E come sarebbe stato vivere qui ed avere il privilegio di diventare parte di questo posto in qualche modo.
La scena musicale in Sardegna per me è impressionante: il talento, il numero di artisti e musicisti che mi sembra di incontrare ovunque vado, ma anche l’apprezzamento per l’arte, anche da parte di coloro che non si identificano come artisti. A Santu Lussurgiu, per esempio, dove ho vissuto per due estati, tutti amavano parlare di cantu a cuncordu, di voci e del modo di cantare!
Così, se andrò al bar RajuRuju, un giovedì notte, tutti vorranno parlare di sfumature, o la quinta voce, o tutte quelle cose specifiche relative a suono ed estetica. Questo mi sorprende!Negli Stati Uniti, se non ti identifichi come artista, vi è la sensazione che non hai il diritto di parlare di arte o avere un’opinione a riguardo, avere una tua personale estetica. Durante le mie esperienze in Sardegna, finora, questo punto è molto diverso!
Chiudiamo con un bel discorso sul futuro: hai dei sogni nel cassetto o dei progetti che vorresti realizzare?
Certo! Sto programmando di tornare in Sardegna per un anno, all’inizio di Giugno 2019, per lavorare sul campo ad un progetto di ricerca a me molto caro, che mette insieme le cose che più mi piacciono su questa terra: composizione, etnografia e Sardegna!
Per questo progetto, scriverò canzoni con cantautori sardi per poi essere professionalmente registrate, sempre in Sardegna, su un disco che accompagnerà un libro e il mio secondo di etnografia, Sing Me Back Home: Songwriting, Language Shift, and ItalianColonialism in Sardinia.
Il libro sarà un’etnografia della musica Americana e la scena cantata e cantautoriale dell’isola, concentrandosi sulle problematiche tra italiano e sardo, sulla relazione tra la Sardegna e “Il Continente”, e sui giovani musicisti che ora cantano e imparano a parlare in una delle tante versioni del Sardo.
A tal scopo, ho già scritto e registrato due canzoni “demo” per questo progetto, una in Campidanese e una in italiano,con talentuosi compositori, Matthew Papperi (Cagliari) del gruppo blues Saddle of the Devils, e il fisarmonicista, Matteo Scano (Santu Lussurgiu).
Durante questo anno, cercherò di imparare la lingua sarda (Lussorzesu), insegnare etnomusicologia all’università di Cagliari, offrire lezioni sulla mia ricerca ed esibirmi in concerti solisti nell’isola e anche in continente come una forma addizionale della ricerca etnografica.
Infine, sono molto emozionata di condividere il fatto che mi è stato offerto, per la prima volta, un laboratorio di composizione in Sardegna a Maggio 2020, concentrato sulla scrittura e lo scambio interculturale, dove i cantautori scriveranno una canzone al giorno e terminerà con l’esibizione in pubblico delle loro canzoni.
I catalizzatori arriveranno da Stati Uniti e Sardegna, e i partecipanti da Sardegna, Stati Uniti e Scandinavia: il nostro cantautore sardo,del 2020, scelto per partecipare a questo progetto sarà il cantante – cantautore sassarese, Federico Beeside.
Il laboratorio si svolgerà a Santu Lussurgiu, ha ricevuto il nulla osta delle associazioni del paese, incluso il sindaco di Santu Lussurgiu, e l’esibizione finale avverrà nella piazza centrale del paese, di fianco alla casa di cura per anziani in modo che anche loro possano assistere al concerto.
Puoi trovare informazioni sul laboratorio a questo link “Songs of Sardegna.” Vi ringrazio per l’opportunità di questa conversazione. Non vedo l’ora di tornare in Sardegna.
Grazie per la collaborazione e buona fortuna per tutti i tuoi progetti!