Esistono alcune realtà artistiche isolane che fanno uso di elementi tipici della musica sarda ma che non si adagiano sulle pigre sponde del folklore, andando oltre: una di queste va a esplorare territori poco battuti, alla disperata ricerca di sonorità profonde e dotate di un afflato ancestrale. Gli Ilienses, al secolo Mauro Medde e Natascia Talloru, sono i nocchieri di questo viaggio: con loro portano alcuni strumenti musicali autocostruiti nonché una certa capacità di evocare ere antichissime, cristallizzate in uno spazio-tempo sospeso fra passato e presente. Il nome della loro opera è Jae (Masked Dead Records) e segue un certo filone ritualistico di genesi nordeuropea, ridefinito per l’occasione “Barbagia Dark Folk”, locuzione che potrebbe sorprendere a primo impatto, ma che in realtà ben si attaglia a ciò che arriva in cuffia. Gli autori dell’opera, oltre ad aver suonato tutti gli strumenti e aver realizzato le tracce vocali, si sono occupati anche degli altri aspetti della produzione: Mauro Medde ha curato registrazione, mixaggio e mastering, mentre Natascia Talloru si è occupata dell’artwork assieme ad Arturo Griego. Le fotografie sono state invece realizzate da Gianfranco Delussu.
Se già il nome del progetto rappresenta una inequivocabile dichiarazione di intenti (gli Iliensi erano una antica popolazione nuragica n.d.r.), l’ascolto ne certifica la realizzazione: la visione di una Sardegna arcaica, mistica e spirituale viene destrutturata e ricomposta per poter sopravvivere nella contemporaneità, mantenendo però una sorta di essenza primordiale. Allo stesso modo la forma canzone tradizionale viene falciata via per poter ricercare una sorta di mantra continuo, caratterizzato da atmosfere notturne predominate da basse frequenze e percussioni profonde. Se si cercano grandi variazioni ritmico-melodiche probabilmente questo non è il disco giusto e neanche vuole esserlo. Spesso sconfina inoltre in paludi ambient dove trovano rifugio vari tipi di strumenti tradizionali e momenti di canto a tenore, affogati in una matrice liquida e scura.
Sette sono i brani che compongono un disco che non mancherà di affascinare gli amanti del genere, come è lecito aspettarsi, per intenzione e compattezza. Pur con degli epicentri importanti. Uno su tutti, negli oltre 40 minuti di questa esperienza sonora, è sicuramente Ili Iur In Nurac Sessar, titolo che rievoca la famosa iscrizione rilevata sull’architrave del nuraghe Aidu Entos di Bortigali. Il brano vive sui contrasti che si creano tra voci maschili e femminili: basse e minacciose le prime quanto stentoree e marziali le seconde. Molto efficaci anche l’evocativa Jae, posta saggiamente a inizio album quasi a consegnare all’ascoltatore un codice atto a decifrare l’intera opera, nonché la conclusiva Arbeschet, dove tintinnii argentini risaltano in un magma opaco, come fossero i primi raggi di luce del mattino. Il ciclo della vita cantato in Animas si dipana tra Eròes senza nome e personaggi essenziali come Hampsicora; siamo di fronte a un ascolto che non ha la pretesa di essere amichevole con chiunque. Si può intuire la parentela che lega gli Ilienses ad artisti come Heilung, Forndom e Osi and The Jupiter, ma differiscono la posizione geografica e la storia: mancano per ovvie ragioni le rune e ben pochi caratteri scritti possono darci testimonianze di tempi sfuggenti.
Mauro Medda e Natascia Talloru fanno parte di quella comunità di artisti che ha il pregio di utilizzare la musica sarda per un lavoro di ricerca sonora, slegando certi suoni dai lacci a tratti opprimenti di una tradizione folkloristica. Non si tratta di mettere in discussione il ballu tundu o il canto a tenore, quanto il poter utilizzare certi elementi per creare qualcosa di nuovo, come d’altronde sono riusciti a fare in tempi recenti Daniela Pes e Iosonouncane.
L’operazione intrapresa dagli Ilienses cammina su un sentiero sdrucciolevole e irto di pericoli: lo sconfinamento verso il grottesco o il fantasy è un rischio sempre tangibile, ma il duo riesce a tenere in equilibrio tutti gli elementi condensati nel disco, evitando scivoloni e mettendo nelle mani dell’ascoltatore un lavoro registrato con una dedizione che ne risalta gli aspetti più interessanti.. Non sappiamo esattamente i suoni e i riti di chi ha camminato molto prima di noi in quest’isola sdraiata al centro del Mediterraneo, ma è bello pensare che gli Ilienses ne sappiano più di noi e vogliano svelarlo.