IL GRUPPONE – Fare musica in Sardegna negli anni Ottanta

Claudio LoiRetromania

Direttamente dai terribili anni Ottanta del secolo che fu, ci arriva questa band che per diversi anni ha calcato in modo assiduo i palchi delle piazze della nostra isola. Non verranno certo ricordati per il nome, quanto mai poco azzeccato e originale, ma credo che di questa cosa loro se ne fregassero altamente, mentre erano decisamente più concentrati sulla musica e motivati dalla voglia di fare qualcosa in cui credevano veramente. L’unico motivo per cui scelsero questo nome è da ricondurre probabilmente al fatto che si trattava di un combo che includeva musicisti già rodati e pronti all’uso con un poco velato rimando a quelli che un tempo si chiamavano supergruppi, spesso formati per situazioni estemporanee da artisti già noti e affermati. Roba di altri tempi insomma, ma specchio fedele di una stagione nella quale essere musicisti era la prima condizione per fare questa scelta di vita. 

Nascono alla fine del 1979 quasi per caso dall’unione di Paolo Porcu (chitarre), Filippo e Carlo Vespa (rispettivamente basso, voce e chitarra), Franco Medas (batteria e tastiere) e Giorgio Cretara (tastiere), con un continuo via vai di componenti negli anni a venire come nella migliore tradizione delle rock band che erano laboratorio aperto di suoni e di esperienze umane.

La prima fase della band era focalizzata sulla rilettura di classici del rock di provenienza anglosassone fino alla messa a punto di produzioni originali che trovarono spazio in un 45 giri pubblicato dalla Strega Records proprio alla fine del 1979: Bella sul lato A e Il Vecchio Con L’Armonica sul retro, due brani composti dai fratelli Vespa e da Franco Medas. Un biglietto da visita che gli apre le porte delle televisioni locali, in particolare di Videolina che sarà per loro un porto sicuro da cui partire per diffondere la loro musica. Sull’onda dell’entusiasmo e con un buon rodaggio live arriva al primo (e unico) album che vede la luce nel 1980 sempre per La Strega Records con un titolo che si allinea alle correnti del prog che in quel tempo dettavano legge: Atarassia forse in omaggio al pensiero filosofico di Epicuro o forse perché suonava bene. Incredibile il numero di musicisti coinvolti un questa fatica discografica a testimonianza di un’avventura pensata a fondo e frutto di un lungo lavoro di composizione e produzione: il nucleo storico veniva affiancato da Bastiano-Cepy Loke (basso e voce), Enrico Memoli (flauto), Franco Montalbano (chitarra),  Giorgio Barbarossa (percussioni), Adriano Demurtas (piano), Alberto Orrù (piano), Vittoriano Testa (sax), Ada Derio (voce), Roberto Cubeddu (voce e armonica), Ninni Moy (chitarra) e un fantomatico amico alle launeddas.

L’album era interessante anche se un po’ disorganico da sembrare più una compilation che un concept: riprende i due brani del singolo appena pubblicato, qualche altra traccia originale e gli adattamenti in lingua sarda (arrangiati con il supporto di Franco Crabu) di Mull Of Kintyre di Paul McCartney (che diventa Seu Condannau) e di American Pie di Don McLean (In America Bai dopo la cura). Un’opera che racchiude le tante passioni del gruppo, che spazia tra i generi, in cui si può rintracciare la grande storia del rock, il blues, alcuni barocchismi tipici del prog del tempo e soprattutto il recupero di certe sonorità tipiche dell’isola prima che queste contaminazioni diventassero normali. Un album che nel tempo ha visto crescere le sue quotazioni nel mercato del collezionismo (qualche copia si trova ancora su Discogs) e che rimane un ottimo esempio di una scena abbastanza vivace e forse dimenticata troppo in fretta. 

E poi arriva Jeffrey a dare una scossa alla band. Lui era Jeffrey Salaris, ma per tutti era solo e soltanto Jeffrey e si presentava con la spavalda forza della sua giovane età e una voce che spaccava soprattutto nei pezzi più hard. Sembrava un ibrido creato in laboratorio tra Mick Jagger e Robert Plant da cui traeva forte ispirazione, nel look, nelle movenze sul palco e nel repertorio. La sua presenza ebbe il merito di compattare la band e di catalizzare il pubblico. Jeffrey per alcuni anni divenne una presenza costante nei palchi dell’isola, nelle feste di piazza, alla televisione, ovunque ci fosse la possibilità di suonare e divertirsi.

Negli anni a seguire arriveranno altri aggiustamenti nell’organico, tanti e spesso fugaci da rendere difficile la mappatura: Bastiano Loche, Augusto Luridiana, Paolo Cocco, Ilio Erbì, Alberto Tremendo, Maurizio Senis, Pierluigi Colli e chissà quanti altri fino alla parola fine che arriva alla fine degli anni Ottanta dopo una lunga scia di concerti e un album che merita di essere riscoperto.

In rete è anche possibile rintracciare un video che risale al 1980 con la band che mette mano a un classico degli Who con Jeffrey alla voce nel suo periodo di maggior fulgore.