Hotel Supramonte, le lacrime amare di Fabrizio De André

Claudio LoiRetromania

Passerà anche questa stazione senza far male
Passerà questa pioggia sottile come passa il dolore

Fabrizio De André

La storia e le date le conosciamo bene. Nel 1978 Fabrizio De André e Dori Ghezzi si trasferiscono in Sardegna nella tenuta dell’Agnata vicino Tempio Pausania. De André conosceva bene l’isola e il trasferimento fu una scelta meditata e ragionata a fondo verso una terra che a lui ricordava le sue origini, con quella sospensione tra cielo, mare, natura selvaggia e una popolazione aspra ma piena di risvolti umani che in qualche modo erano abbastanza coerenti con il carattere del cantautore genovese. Sembrava l’inizio di una bella e incredibile storia d’amore che però nascondeva al suo interno le insidie che la natura umana spesso manifesta con cruda noncuranza.

Nella notte tra il 28 e il 29 agosto del 1979 De André e la Ghezzi vengono rapiti e tenuti in prigionia fino a pochi giorni dal Natale e rilasciati dietro pagamento di un lauto riscatto. Poteva essere l’inizio della fine, la caduta degli dei, il sogno che si infrange. Invece De André trova le forze per resistere e continuare in quella scelta che sembrava ormai poco praticabile.

Nel 1981, dopo un lungo periodo di silenzio e grazie alla proficua collaborazione con Massimo Bubola, De André pubblica un nuovo album, il decimo della sua carriera, senza titolo, ma riconoscibile da un indiano in copertina e si presenta come un lavoro strutturato, maturo e soprattutto molto legato alla Sardegna, forse quello più sardo del cantautore. Canzoni come Quello che non ho, Il canto del servo pastore, la tradizionale Ave Maria sono canzoni che rimandano direttamente alla cultura e alla storia sarda. E poi c’è Hotel Supramonte, una canzone scritta originariamente da Massimo Bubola, ma rivista e riscritta per l’occasione che rimanda senza mezzi termini al sequestro di qualche anno prima. Di quella vicenda molto si è scritto, si è detto, si è ragionato spesso in termini contraddittori, con la retorica che queste cose si trascinano e per fortuna non c’erano ancora i social a intorbidire ancora di più la realtà dei fatti. Ma è proprio quella canzone, Hotel Supramonte, a trovare le parole giuste per scacciare i fantasmi di quei giorni bui. Quella canzone, scarna e minimale, suonata con minimi interventi e un arrangiamento scarno e contenuto (un chiaro omaggio alla poetica di Leonard Cohen) è la perfetta trasposizione in musica di avvenimenti che altrimenti rimangono cronaca nera, supposizioni, teatro dell’assurdo e dell’approssimazione.

Con quel disco e quella canzone De Andrè trova il coraggio di continuare, riprende in mano la sua vita e ancora una volta spiazza e confonde chi pensava in una ulteriore fuga, in una ritirata che tutti avremo comunque capito e giustificato. Lui insiste, continua a credere in quel sogno, è convinto che quella sia la scelta migliore da affrontare e capisce che per farlo ha bisogno di strumenti di sopravvivenza che solo la musica, la poesia, l’arte possono fornire. Di Hotel Supramonte, che io sappia, non esiste un video ufficiale ma è possibile rivivere quelle storie grazie a diverse esibizioni live facilmente reperibili sulla rete oltre alle numerose cover arrivate dopo la pubblicazione dell’album (tra le tante quelle di Roberto Vecchioni, Mia Martini, gli Zen Circus e anche Andrea Parodi). Una delle clip più interessanti arriva dagli archivi RAI con Fabrizio De André ospite a “Mister Fantasy” nel 1981 intervistato da Mario Luzzatto Fegiz. Parole e musica che ci aiutano a capire quanto fosse forte il legame di Faber con quest’isola e delle tante contraddizioni che ci attraversano.