RACCONTI D’AUTORE
Giacomo Casti racconta i Fugazi a Gavoi nel 1995
Dal libro “A cosa Stai Pensando?” (Cenacolo di Ares 2018)
Non eravamo pronti si capiva. Bastava guardare come eravamo vestiti: un mix tra i RHCP periodo Mother’s Milk (mesus spollincus ma senza troppi tatuaggi) e le Mano Negra (che voleva dire: apri il guardaroba dei parenti e indossa quel che trovi). Era la nostra personale via al crossover, quella, e in testa avevamo quei suoni, e molti altri (Mr. Bungle, lo ska-core, un certo tipo di cose italiane, Casino Royale in primis). Insomma, non eravamo pronti, non eravamo quelli giusti, per aprire il concerto ai Fugazi in unica data isolana. Era il 1995, avevamo appena più che vent’anni, avevamo cambiato nome in Cani da Rapina fulminati sulla via di Tarantino da un anno o giù di lì, eravamo per la seconda volta a Gavoi – “hot Spot” della scena rock isolana, prima di diventare patria di festival letterari -, provenivamo dalla nostra personale elaborazione del punk e, si, dei Fugazi sapevamo poco.
Si, insomma, una punk band americana importante, e poi? Si, prima erano stati Minor Threat, l’hardcore primordiale che avevamo tanto apprezzato, e allora? A dirla tutta, noi preferivamo i Negazione, in quei paraggi, che almeno due parole ogni tanto si capivano. E poi questa cosa dello Straight Edge, che ci incuriosiva e ci era lontana, visto che all’epoca bevevamo come orunesi in festa e fumavamo come roveri ardenti. Quella fu la prima lezione: Joe Lally, il bassista, il più disponibile del gruppo fors’anche per l’età, ci disse che per loro Straight Edge era solo una canzone, e che ognuno di loro aveva le proprie abitudini alimentari e etiche, che tra loro c’era chi era vegetariano e chi no, chi beveva e chi no, chi fumava e chi no, e molti si guardavano bene dal rompere le tasche agli altri con le proprie convinzioni. Insomma, alla faccia degli ottusi straighters – pochi a dire il vero, che dalle nostre parti bisogna essere davvero dei santi – che pensavano di avere nei Fugazi chissà quale vangelo.
Nessun vangelo, e quella fu la seconda lezione, se è vero come è vero che Guy Picciotto passò tutto il pomeriggio a leggere il Corano: se ci pensate, una delle cose più intelligenti che possa fare una persona impegnata in un tour mondiale come lo erano loro: leggere i pilastri su cui è costruito il nostro tempo. La terza lezione – che una regola dell’hardcore è la brevità, e io qui l’ho già tirata lunga – forse è questa, e lo dico perché da lì in poi i Fugazi diventarono e sono uno dei miei gruppi preferiti, una di quelle band in cui provi a guardare come dentro uno specchio, quando cerchi te stesso; la lezione è questa: a volte, in certi contesti, non sei la persona giusta, proprio perché tu la possa essere in quelli futuri. Chiaro, no?
A questo link puoi scaricare il live completo dal sito Dischord
Giacomo Casti
Laureato in Lettere con indirizzo antropologico, si occupa di letteratura, teatro (regista e autore con Antas Teatro), cinema e musica. Da anni tiene laboratori di scrittura per ragazzi e adulti. È stato membro del direttivo della Fondazione Giuseppe Dessì; è socio fondatore dell’Associazione Chourmo, che da sedici anni organizza a Cagliari il Marina Cafè Noir e, a San Sperate il festival Cuncambias. Da molti anni si occupa della realizzazione di spettacoli e reading musicali su testi propri e di vari autori. Nel 2018, con Meltemi, ha pubblicato Sardi, italiani? Europei.
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Amo facebook, odio facebook. Lo amo perché crea relazioni, accelera scambi, potenzia opinioni, può veicolare messaggi importanti. Lo odio perché crea dipendenza, alimenta illusioni, amplifica solitudini, produce redditi nostro malgrado. “Per facebook la merce sei tu”, titola un bell’articolo di John Lanchester sulla London Review of Books. È così: dietro l’apparenza “social” e la sua vocazione “free”, si nasconde la più grande azienda di sorveglianza della storia dell’umanità.
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