Il live report della quattro giorni del festival
Di Simone La Croce e Luca Garau, foto di Daniele Fadda e Stefania Desotgiu
Si è concluso la scorsa domenica uno dei principali festival jazz della città di Cagliari. La puntualizzazione non è casuale: Forma e Poesia nel Jazz è forse l’unica manifestazione di questa caratura che si svolge interamente in centro città. Un unico palco in un’unica location, due concerti a sera per quattro giorni di musica con grandi nomi del jazz nazionale e non solo.
Anche per questa ventiduesima edizione, gli organizzatori hanno confermato una precisa volontà di alternare sperimentazione e innovazione a formazioni e proposte più classiche, ampliando così l’offerta e aprendo a fette di pubblico che verosimilmente tenderebbero a snobbare l’evento.
Il riflesso di questa scelta è risultato evidente sia nell’impostazione delle serate – un concerto meno usuale prima e uno più standard poi – sia sulla selezione dei nomi, con la presenza di giovani talenti, più o meno emergenti.
L’arduo compito di rompere il ghiaccio per la data di apertura di giovedì 26 è assegnato a Julian Oliver Mazzariello.
Il pianista italo–inglese, sul palco con Daniele Sorrentino al contrabbasso e Dario Congedo alla batteria, presenta Debut, album d’esordio nella veste di band leader. Con un playing informale, istintivo e sorridente, il trio si mostra subito abile nell’utilizzare l’ampia tavolozza di sfumature di cui dispone, riuscendo a catturare gli spettatori miscelando con maestria blues, funky, ritmi latini, e con i doverosi tributi a Bill Evans e Thelonius Monk.
Mazzariello si trattiene al piano anche per il secondo show, ad accompagnare, con Enzo Pietropaoli al contrabbasso, Maria Pia De Vito Trio nel suo About Joni, omaggio a Joni Mitchell. La cantante partenopea ripercorre, con trasporto tutto mediterraneo, la carriera dell’artista canadese. Per ogni brano si premura di raccontare il contesto, favorendo così l’immedesimazione dei presenti. Contribuiscono allo spleen le esibizioni dei due accompagnatori, che – alternandosi nei soli – regalano sprazzi di lirismo. Emozionante anche il ricordo di Mingus e dell’omonimo album che la cantautrice gli tributò alla fine degli anni ‘70.
Il venerdì è aperto da Sade Mangiaracina, giovane pianista e compositrice siciliana, affiancata da Salvatore Maltana al contrabbasso e alla batteria Gianluca Brugnano.
Lo spettacolo è incentrato sul suo ultimo lavoro Le mie donne, album edito dalla Tǔk, di Paolo Fresu. Ricamando una costante tensione emotiva, a tratti struggente, a tratti frizzante, la pianista riesce nell’intento di raccontare in musica le donne che maggiormente hanno intersecato la sua storia, da Coco Chanel a Frida Kahlo passando per Rosa Parks. L’artista di Castelvetrano mescola, con grande sicurezza armonie mediterranee ed eleganti improvvisazioni accademiche, senza snaturare nè una nè l’altra ma, anzi, enfatizzandone i risvolti melodici che veicolano il pathos delle sue storie.
Il cambio palco lascia spazio a Stefano di Battista. Sassofonista che non necessita di presentazioni, si esibisce in quartetto con Dario Rosciglione al contrabbasso, Luigi del Prete alla batteria e Andrea Rea al pianoforte.
Con la tecnica e il gusto che lo contraddistinguono catalizza l’attenzione del pubblico. L’esecuzione del ben selezionato repertorio richiama palesemente gli amori di una vita – su tutti Art Pepper – e le incredibili collaborazioni internazionali collezionate in ormai quasi 40 anni di carriera, come Michel Petrucciani e Elvin Jones. Oltre ai brani di chiara matrice hard, il quartetto si esibisce nel blues scanzonato di Madame Lily Devalier, fino a virare verso classici del cantautorato italiano, come nel dolcissimo omaggio a Pino Daniele e alla sua Quando quando.
La serata di sabato, probabilmente l’evento di punta del festival, ha visto l’esibizione del duo formato da Gianluca Petrella, ormai ex giovane promessa del trombone, e Pasquale Mirra al vibrafono e alle percussioni. Performance di grande effetto sin dalle prime note. I richiami a una certa sperimentazione elettrica e l’uso poco convenzionale dello strumento, più vicino a ottoni con maggiore estensione tonale, rimanda subito al Miles di In a Silent Way; le basi tribali e l’effettistica di Petrella, unite alle campane e i fitti tappeti sonori stesi da Mirra fanno il resto. In un live intimo, introspettivo, estremamente black ma anche molto cool, i due alternano stretti fraseggi a solo ipnotici senza spezzare mai il flusso musicale, fino alla passeggiata finale di Petrella nel parterre.
L’Italian Trio formato da Dado Moroni al piano, Rosario Bonaccorso al contrabbasso e Roberto Gatto alla batteria riporta tutti alla realtà. L’impostazione è classica ma l’abbrivio è funkeggiante, il walking bass concede interessanti pieghe swing, mentre i continui cambi di ritmiche permettono le derive più disparate, sempre profondamente bop e fedeli agli standard. La maestria di Gatto si palesa nell’accompagnamento quasi più che nei soli, dove il virtuosismo, saggiamente calmierato, non si prende la scena. I tre si divertono, specie nel doveroso omaggio a Monk, con classici come Let’s cool one e Just you, just me, riportandone con rispetto l’estro e la follia sulla terra. Alcuni brani originali conducono all’epilogo, resta uno stage vuoto e muto. Ma richiamati a gran voce, i tre tornano a suonare, stavolta senza amplificazione, nel silenzio reverenziale della platea. È il momento culmine del concerto.
Anche la serata conclusiva conferma il trend del festival. Apre il Federica Michisanti Horn Trio, formazione della giovanissima contrabbassista – miglior nuovo talento del 2018 per la rivista Musica Jazz – composta dal trombettista Francesco Lento e da Marco Colonna al clarino basso. L’approccio è free, in un continuo amusement fatto di dialoghi serrati e ingombranti tra i fiati, i cui contrasti sono ben ammaestrati dalla grande creatività e dall’inventiva della contrabbassista che dimostra grande talento anche nella composizione. Il suono del clarino suggerisce piacevoli suggestioni di opere classiche del secolo scorso, conferendo alle esecuzioni un tono giocoso che ben si sposa con l’uso delle pause e dei silenzi, dando loro una dimensione narrativa fatta di aspettativa e suspance.
A chiudere, il Jazz Allies Quartet – formato da Max Ionata al sax tenore, Luca Mannutza al piano, Lorenzo Conte al contrabbasso e Joris Dudli alla batteria – propone un’esibizione di stampo bop, fatta di lunghi brani con grande spazio ai singoli e grandi musicisti di esperienza internazionale. L’alternanza di swing sincopati a ballad struggenti rende la performance godibile e coinvolgente. L’impatto sul live dell’austriaco Dudli è enorme e le parti di sax toccano picchi di potenza e profondità in cui si sprecano citazioni di Coltrane e George Coleman. Un finale classico che, in questo caso, non fa rimpiangere derive di rottura.
Ancora grandi musicisti e un’esibizione di altissimo livello che conferma la spasmodica ricerca della qualità che caratterizza la kermesse: alla città di Cagliari viene data anche quest’anno la possibilità di fare da palcoscenico a grandi performance e, ai suoi ascoltatori, quella di non venire tagliati fuori dai più importanti circuiti jazz di oltremare.