Mi ci è voluto del tempo. Per un lunghissimo periodo della mia vita ho amato qualsiasi cosa fosse partorita da Fabrizio De André. Mi sono nutrito dei tanti (troppi) tributi in suo nome e dei canzonieri dove irrimediabilmente si ficcavano dentro Bocca di Rosa, Il Pescatore e La canzone di Marinella – grasso che cola se ci trovavi gli accordi di Amico fragile.
Mi ci è voluto del tempo, dicevo, e molti ascolti per giungere alla convinzione che l’apice della produzione del cantautore genovese fosse la sua trimurti finale: Crêuza de mä, Le nuvole e Anime salve. Il primo è probabilmente uno dei dischi più importanti della musica italiana e Rumore lo piazza in top three nel suo bel volume sui Cento dischi più importanti del cantautorato italiano. Il secondo è una critica aspra nei confronti del potere costituito e contiene quella gemma caustica che è La domenica delle salme. Anime salve è, detto in maniera semplicistica, un album che elogia la solitudine e le solitudini. Se possibile lo amo ancora di più dei due precedenti.
Il tour di Anime salve avrebbe portato Fabrizio De André e l’ensemble che lo accompagnava anche a Sassari per, sembrerebbe, due date al Palazzetto dello Sport rispettivamente il 25 e il 26 Aprile del 1997. Sul palco musicisti del calibro di Michele Ascolese, Giorgio Cordini, Mark Harris, Cristiano (celebre il duetto col padre in Cose che dimentico) e Luvi De André – la sua voce in Khorakané rimane fra i miei più bei ricordi d’infanzia e d’adolescenza. Fra le canzoni in scaletta c’era anche Mégu megún, quinta traccia di Le nuvole (o prima traccia del Lato B per gli amanti del vinile). Avevo appena compiuto otto anni, ascoltavo già De André, ma non l’ho mai visto dal vivo. Tristezza a palate per un concerto che deve essere stato, a naso, una meraviglia.