Eudamonia è il demone della felicità che, impossessandosi del nostro spirito, ci guida verso la giusta via. Eudaimonia, però, non è la felicità appagata attraverso la soddisfazione del piacere materiale, è la gioia che si autoalimenta con la ricerca dell’essenza di ognuno di noi. Andrea ha voluto raccontare attraverso il quarto album di una discografia di tutto rispetto per un ventottenne della sua generazione, il suo personale viaggio verso il “lungo e travagliato percorso di scoperta di sé stessi”.
In questo dialogo con il “daimon“, l’artista oranese si ricollega al precedente Nostos, che già metteva le basi e guardava l’orizzonte del cantautore Cubeddu, che – messe nel cassetto la maschera da boe e le vesti del ragazzo sardo che suonava il blues più antico – ha indossato quelle del musicista maturo, che a viso scoperto affronta il Mediterraneo e la sua terra attraverso le canzoni.
In questo cambio d’abito, la chitarra non ha perso il suo slancio e il suo contatto con il Delta del Mississippi. Ha solo fatto un viaggio simile a quello delle anguille, dalle coste del nord America alle acque narrate nell’Iliade e nell’Odissea.
Se Eudamonia è un disco apparentemente ostico, dall’incedere inizialmente lento, appena gli si riserva lo spazio e il tempo che merita, regala delle perle con un gusto unico e caratteristico. Pochi i punti di riferimento: Cambia si spinge al centro della Sardegna, ricordando però il Branduardi più ispirato, ma il restante è uno scorrere di onde leggere tra la Grecia e la sua mitologia, l’Africa e la Spagna, con al centro le coste dello stivale e delle isole italiane.
Stupisce, in Andrea Cubeddu, la determinazione e la cura dei dettagli e incanta il suo affrontare concetti importanti e non scontati. Ha “cose da dire” e lo fa nel migliore dei modi.
Consigliato!