Dopo anni di ascolti compulsivi e disparati ogni volta che ascolto un nuovo disco scatta in automatico la ricerca delle influenze, la voglia di catalogare e inquadrare, di trovare la giusta collocazione in un ideale scaffale dei suoni del mondo. Lo so, è una cosa che non si dovrebbe fare. L’ascolto dovrebbe essere libero e senza percorsi prestabiliti, innocente come lo sono i bambini alla scoperta del mondo. Ma questa cosa scatta in modo inconsapevole, è difficile da controllare e non esistono medicine contro la sindrome da tassonomia compulsiva. È successo anche con Stalemate, il nuovo album di Erbomb licenziato alla fine del 2022, il cui ascolto mi ha subito riportato a lontane esperienze uditive che fanno riferimento a chitarristi come Phil Manzanera, Adrian Belew e Andy Summers e in particolare alle loro esperienze solitarie fuori dal clamore del mainstream e delle band in cui hanno militato. E siccome dietro ogni menzogna c’è sempre un briciolo di verità, anche in queste ipotetiche affinità elettive il grado di congiunzione deriva – forse in modo inconscio – dal fatto che siamo di fronte ad artisti che hanno cercato di deviare dalla strada maestra per trovare altre rotte da percorrere, altri universi da popolare, spiagge poco affollate: oltre i generi, oltre il genere.
Erbomb è il nickname di Francesco Simula, chitarrista di Sassari, ma apolide per vocazione, che con la sua chitarra parte dal rock più classico per spostarsi in territori non sempre limitrofi, mantenendo un forte legame con lo strumento e la sua fisicità senza tralasciare le declinazioni offerte dalle nuove tecnologie, dalle variabili impreviste della manipolazione elettronica. E qui la necessità di essere precisi e razionali viene meno e definire la situazione inizia a essere difficile e lo spirito enciclopedico vacilla. Persino la carriera di Erbomb è difficile da disciplinare: ricordiamo la partecipazione a gruppi come Scekinà, Barriosud, Giocca, Astral Farm, Lux, cose più indefinibili come il progetto Shelf e anche interessanti incursioni nel mondo delle colonne sonore e altre bagatelle che rendono la situazione piuttosto torbida. Ma in fondo è proprio questa ambiguità che rende lo scenario contemporaneo degno di essere approfondito ed è bellissimo perdersi in un’altalena di influenze e ricordi, in cui emerge la voglia di uscire dalle gabbie del conosciuto e viaggiare nell’infinito torpore del mistero e dell’inaudito. Stalemate – a dispetto del suo significato che rimanda a una situazione di stallo – rappresenta bene cosa vuol dire fare musica oggi: fare i conti con la propria storia e con la storia della musica, misurarsi con le immense possibilità offerte dalle nuove tecnologie pur con un approccio da amanuense di altri tempi, artigiano del suono in perfetta solitudine, ma sempre connesso alla realtà circostante. Un album questo che sembra essere stato pensato e costruito come un sorta di ricerca interiore, di profonda meditazione, con tempi lunghi di maturazione e il giusto invecchiamento prima del suo schiudersi al mondo. Dieci tracce che ci consegnano un artista maturo e sensibile, concentrato sulla natura del suono ma anche sulla struttura dei brani e sulla loro fruizione. Tutte qualità che apparivano già nel precedente Mars Roll ma che adesso hanno trovato la giusta dimensione. Sarebbe interessante riascoltare queste composizioni con una band “vera”, con strumenti reali: queste tracce sono perfette per poter affrontare nuove sfide con abiti diversi. E non è detto che questo non accada…