Il rapper sardo si racconta
Intervista di Emiliano Cocco
Partiamo dalla fine. È uscito da qualche giorno il nuovo singolo “Eremita”, in cui non mancano gli extrabeat che caratterizzano il tuo stile. Hai tempo di far uscire singoli in pieno Shardana Tour insieme a Kaizén.
Mi voglio testare e spingermi sempre al limite dal punto di vista della produttività. Un po’ è sempre il mettermi alla prova, un po’ è anche il discorso che nella mia posizione non posso permettermi di non stare sempre sul pezzo, specie per com’è diventata la fruizione della musica oggi.
Com’è andato il processo compositivo di questo nuovo disco e cosa ti ha ispirato a trattare il concept sul “Popolo degli Shardana”?
La storia e le caratteristiche Shardana rispecchiano a pieno quello che è quest’album: impeto sardo con sfumature epiche. Ho, come sempre, scritto sulle strumentali che pian piano ho selezionato nel tempo dai beatmakers, anche se in questo caso il più presente è il mio braccio destro Kaizén, che mi aiuta in tutto a 360 gradi, e in questo progetto è stato determinante anche dal punto di vista artistico.
Questo è il tuo secondo disco da indipendente dopo l’uscita da Machete. Come hai affrontato questi cambiamenti a distanza di tempo e, ora che il disco è in giro da circa due mesi, quali sono le tue considerazioni a riguardo?
Sono sempre più sereno e consapevole dei miei mezzi, e questo viene fuori secondo me anche nei progetti, che risultano essere più maturi e quadrati.
Da notare la durata dei brani che raramente superano i tre minuti, sentendo anche altri dischi, in ambito hip hop, la situazione è ricorrente. Si tratta di una scelta ben precisa o è assolutamente casuale. Capita spesso, al giorno d’oggi, di vedere artisti che tendono a comporre brani con una durata più breve rispetto al passato per una questione basata sulla soglia dell’attenzione del pubblico.
La questione della soglia d’attenzione è certamente un fattore non trascurabile. Poi c’è un discorso anche mio. Ossia che in parecchi casi ho notato di rendere meglio e “arrivare” maggiormente all’ascoltatore quando ha una mole di concetti concentrati in meno tempo, sarà perchè la mia scrittura è sempre e comunque molto densa.
Trovo assai curioso il fatto che si sentono spesso strofe quasi urlate e ritornelli “quasi cantati”, se mi passi il termine. Vorrei sapere se ha in qualche modo contribuito in questa tua crescita l’apporto di Kaizén in fase di scrittura dei brani?
In realtà è una caratteristica che sviluppo piano piano da anni, mi è sempre piaciuto ricercare melodia. Kaizén mi dona ulteriori spunti e mi inquadra quando ce n’è bisogno, essendo anche un cantante.
Copernico è il brano che più mi ha colpito sia per i cambi vocali in continua evoluzione sia per il tappetto sonoro. Personalmente trovo ostico l’autotune, ma, nella maggior parte dei casi, riesci ad utilizzarlo in maniera diversa da ciò che va maggiormente in voga nella scena nazionale odierna.
Sarà perché, come lo usiamo noi, l’autotune a mio avviso dona un tocco in più, invece di essere la colonna portante di un brano. Insomma deve essere la guarnizione di una torta, non l’impasto.
Parlami delle collaborazioni sul nuovo disco. Personalmente mi aspettavo il brano con Rancore di cui si era vociferato nel web tempo addietro. Sono rimasto piacevolmente sorpreso del brano “Father & Son” insieme a Bassi Maestro.
Mi sarebbe piaciuto con Tarek, così come mi sarebbe piaciuto con Mezzosangue, ma spero ci saranno altre occasioni. Mi tengo stretti coloro i quali hanno voluto essere in questo progetto, e che hanno aggiunto varietà con la loro personalità particolare che viene fuori in ogni brano.
Vorrei soffermarmi sulle tue collaborazioni passate in brani altrui. Partendo da brani strettamente rap/hip hop con gli ex sodali della Machete sui vari Mixtape e dischi ufficiali hai collaborato con altri rapper quali Anagogia, Raige, Gemeitaiz, Kill Mauri e Mezzosangue. Poi ci sono collaborazioni con artisti come i Linea 77 con cui hai scritto il brano “Divide Et Impera” dei Linea 77 e “Verso La Fine” di Gabriele Deriu. Si denota un’apertura mentale pure verso altri generi e vorrei capire quali sono le dinamiche con cui accetti di collaborare con altri artisti e quali differenze hai trovato durante processo creativo interfacciandoti con loro.
Tornando a concetti precedenti, mi piace sperimentare e testarmi. Non è qualcosa di facilmente esplicabile, fatto sta che il mio approccio rimane quello di entrare nel mondo di ognuno di loro, ma con la mia identità ben precisa, cercando punti di incontro e tentando di creare sempre qualcosa di ulteriormente nuovo. Se il giallo e il rosso si incontrano non devono rimanere il giallo e il rosso a fianco e basta, ma devono diventare l’arancione.
Mi puoi parlare delle tue influenze e di ciò che ritieni valido secondo i tuoi gusti al giorno d’oggi. Ci sono stati artisti sardi in ambito hip hop che hanno segnato la tua crescita musicale? Cosa pensi di gruppi storici che hanno avuto enorme importanza nel panorama regionale come i Sa Razza ed i Menhir?
Credo siano stati certamente dei pionieri fondamentali per la crescita nell’isola. Per quanto riguarda la mia formazione però, c’è sempre stato poco di hip-hop almeno inizialmente, e non posso certo considerarmi un degno conoscitore dell’hip-hop. Cerco di farmi sempre e di continuo, comunque, una cultura con la ricerca anche di cose passate.
Trovi che ci siano attualmente artisti sardi esordienti che possano essere competitivi a livello nazionale?
Francamente non ho il polso della situazione degli emergenti. C’è un ragazzo olbiese però che ha tanta esperienza alle spalle e che per un motivo o per l’altro è rimasto sempre ingiustamente nell’ombra. Si chiama Noia ed è uscito da pochissimo con il suo album. Talento purissimo che si occupa di qualunque cosa, dalle liriche alle strumentali.