È tutta scena! – Intervista a Irene Atzeni

Gabriele MuredduÈ tutta scena!, Interviste

Harder Times, storia di un mito

Irene Atzeni, nata ad Assemini nel 1994, dopo la laurea in scienze politiche si è specializzata in cinematografia documentaristica all’Accademia delle Belle Arti di Sassari. “Harder Times. Storia di un mito” è il suo primo documentario, presentato come tesi di laurea antropologica che, come riportato nelle note di accompagnamento del lavoro, “indaga il contenuto mitico della narrazione sul movimento e ne fornisce una singola interpretazione dei simboli in essa contenuti”. Gabriele Mureddu l’ha intervistata per la rubrica , approfondendo le diverse tematiche toccate nel suo film, il processo di realizzazione, e cosa rappresenta, a posteriori l’HT (e la sua organizzazione omonima) in Sardegna.  

1. Ciao Irene e benvenuta su Sa Scena. Vorrei innanzitutto che provassi a raccontarci in poche parole cosa è stato il movimento Harder Times in Sardegna e perché hai deciso di dedicargli un documentario.

Mi ha colpito il carattere mitico di questi racconti. Ho abitato ad Assemini durante tutta la mia infanzia e adolescenza e sono cresciuta sentendo frasi del tipo: “Aaaah quando si andava a ballare al Grillo”, “Ah ma tu sei troppo piccola, non ci sei mai andata all’Eurogarden e al K2”, “Sei mai stata alle serate HT?”. Quello della cosiddetta “Era delle discoteche” di Assemini, per me come per altri che non l’hanno mai vissuta, ha sempre rappresentato in realtà un immaginario mitico. Non mi è mai venuto in mente di volerne parlare finché non ne ho avuto l’occasione dovendo realizzare un documentario per la mia Tesi in Cinematografia. Ho iniziato a indagare l’argomento parlandone con varie persone, a ricercare la storia delle discoteche del mio comune, le loro diverse fasi, a collegare i nomi dei dj e degli organizzatori, sviluppando un interesse sempre più profondo per la fase in cui il Kilton e il K2 furono sotto la gestione dell’organizzazione “Harder Times”. Alla fine stavo iniziando a condurre una ricerca su “un’epoca”, sul mondo della musica elettronica, su un movimento, e un po’ inaspettatamente sono arrivata ad esplorare tematiche che sentivo a me molto vicine.

2. Quale è stato l’impatto dell’HT nell’Isola?

E’ stato un movimento avanguardista che ha aperto le porte a nuove forme di esplorazione della libertà espressiva e musicale sull’isola. Sarebbero vari i fattori da analizzare: in generale si è trattato di una realtà culturale e musicale realmente a passo coi tempi. Ha permesso a una generazione di giovani di sentirsi uniti al di là delle differenze, in un contesto rappresentato e percepito la maggior parte delle volte come isolato e anacronistico. Al di là del fattore musicale ha funzionato da catalizzatore per una rivoluzione culturale di grande importanza; è stato in grado di creare degli spazi sociali nei quali l’accettazione delle diversità potessero essere realmente possibili. E’ un movimento che si è trasformato in mito quindi ritengo che abbia avuto un impatto enorme. Qualcuno mi ha detto “Ha lasciato un vuoto incredibile, non c’è niente di paragonabile”.

La regista Irene Atzeni – credits Irene Atzeni

3. Se si parla di HT, le impressioni e i ricordi danno vita a una certa polarizzazione. Da un lato chi ne conserva un buon ricordo, al limite dell’opera agiografica dei nostalgici, e dall’altro chi tiene conto solo degli elementi negativi. Secondo te, da cosa è dipesa questa spaccatura?

Sì è divertente, c’è chi per un motivo o per un altro ha sempre guardato questa realtà dall’esterno, e così chiaramente diventa difficile capirla a fondo o coglierne l’essenza, ma come per tutte le cose. 

Tutte le realtà, le situazioni e i movimenti hanno due facce della medaglia e portano con sé lati positivi e negativi; da alcune di queste realtà ci sentiamo chiamati e attratti, da altre no. Sicuramente per apprezzare l’ambiente che creava il movimento bisognava avere una buona apertura mentale e predisposizione alla curiosità, all’esplorazione personale e delle possibili forme di relazionarsi agli altri e alla musica, a lasciarsi andare. 

Ma secondo me anche un bel po’ di gusto per la sperimentazione dell’eccesso. Diciamo che chi non avesse propensione a questo genere di esplorazione probabilmente lo vedeva come una realtà troppo spinta. E comunque principalmente secondo me fa da spartiacque la musica elettronica: non apprezzando quel tipo di musica non credo fosse possibile apprezzare tutto il resto.

Locandine e flyers originali, realizzati per le serate – credits Irene Atzeni

4. Qual è stato il percorso nella realizzazione di questo lavoro? Quanto tempo ha richiesto e come hai recuperato le fonti e i materiali che hai utilizzato?

Tra strutturare il progetto, riuscire ad accedere ai personaggi e alle loro fonti e rielaborare tutto in montaggio più o meno ci è voluto un anno, anche perché per la prima metà dell’anno frequentavo ancora l’Accademia a Sassari quindi non ero molto presente. Nel frattempo stavo anche elaborando la tesi scritta quindi non è stato facile, però era un lavoro complementare, dunque in un certo senso anche quello mi è stato d’aiuto. Le testimonianze e i materiali sono saltati fuori man mano che facevo ricerca, per alcune cose non è stato facile soprattutto all’inizio ma ci tenevo molto e sono stata determinata. Alla fine moltissime persone mi hanno dato fiducia e si sono dimostrate ben predisposte ad aiutarmi.

5. Nel corso della proiezione, mi ha colpito un passaggio in particolare.  Man mano che il fenomeno diventava maggiormente esteso e commerciale, attirava una platea sempre più vasta e che, vuoi anche per un ricambio generazionale, aveva una visione e un approccio diverso da quella originale, che ne condivideva i valori. Ciò ha comportato l’arrivo di un pubblico che ha, secondo alcuni intervistati, danneggiato irrimediabilmente l’ambiente e ne ha dichiarato la decadenza. Tu che ne pensi?

Le mie opinioni su questo fenomeno si sono formate man mano che portavo avanti il processo di sviluppo del progetto, e devo ammettere che questo di cui parli è uno degli aspetti che ha colpito di più anche me.

C’è da dire che la maggior parte degli intervistati appartiene alla “generazione Kilton“, si tratta un po’ di un film sulla genesi del movimento, questo chiaramente influisce sulla narrazione che se ne fa. In generale comunque, nonostante le opinioni degli intervistati, la pellicola è frutto di un processo anche personale e solleva tanti interrogativi sulla questione generazionale, sulle epoche, sullo scorrere del tempo. Non ho preteso di trovargli risposta, anzi, ho ritenuto auspicabile lasciarli aperti. 

Mi piacerebbe che, alla fine dei 42 minuti, ognuno si facesse la sua opinione a riguardo. Ne approfitto per far sapere che tramite le pagine facebook e instragram HT Film è facile rimanere aggiornati sulle prossime proiezioni.

6. L’HT ha dato i natali ad alcuni esponenti che suonano ancora oggi ed è stato catalizzatore di tendenze musicali, in ambito elettronico, che partivano dai club di Londra e Berlino e arrivavano magari in Sardegna prima che in altre città italiane. Si può considerare una sottocultura giovanile come il movimento rave inglese degli anni ‘80 e ‘90?

Secondo me la grande sottocultura giovanile di massa è stata quella degli anni ‘80 e ‘90 legata alla musica elettronica che è esplosa negli Stati Uniti e poi in Europa. A seconda dei contesti si è sviluppata in maniera diversa; in alcune città ad esempio andavano di più i club, in altre città in Nord e Centro Italia invece la musica Progressive (house) è esplosa nelle grandi discoteche. Ma a Roma, per esempio, i locali da ballo erano spesso associati ad ambienti “di destra”,  quindi anche lì si sono sviluppati maggiormente i rave party. Anche il movimento che ho raccontato fa parte di questa grande sottocultura degli anni ‘90 e ha seguito un suo sviluppo peculiare essendo anche la Sardegna un contesto isolato.

Credits: Irene Atzeni

7. Cosa resta oggi dell’HT? La scena elettronica in Sardegna è particolarmente florida sia a livello di proposte che di festival e luoghi in cui dare spazio a determinate sonorità (penso al Signal Reload, NeoStone Jazz Festival, AbbaBit o Contaminazioni). In questi o altri tipi di eventi contemporanei, secondo te, si vede (e se si vede) lo stesso richiamo che aveva sulla massa l’HT?

Io onestamente ho vissuto i miei primi approcci alla musica elettronica da adolescente frequentando i rave party, e anche quelle sono realtà sempre più rare e occasionali rispetto a prima. Anche le discoteche e i club sono meno e contano meno numeri. Sicuramente influisce il clima politico ma forse comunque ogni epoca ha dei “boom” culturali che poi vanno a scemare.
I Festival resistono, sono delle realtà occasionali che però fanno capire che la gente ha ancora voglia di quel tipo di socialità, di aggregarsi attorno a quel tipo di sonorità. Magari stanno cambiando le forme e gli spazi, così come sono cambiate le generazioni, ma la passione per la musica continua ad esserci.

Io credo che Harder Times sia stata una realtà unica e non replicabile così come lo sono state molte realtà di quegli anni; forse sono nostalgica di tempi che non ho mai vissuto, ma credo sia stata l’ultima grande sottocultura giovanile di massa.

8. Il movimento dei rave, della cultura techno e il mondo delle discoteche in generale sono stati – ma lo sono ancora, basti pensare al c.d  Decreto Rave – attaccati e stigmatizzati per la vicinanza con il mondo delle droghe sintetiche e per le implicazioni sociali che potevano derivarne in termini di problema sociale, reali o presunte. Qual era la realtà dei fatti?

La “realtà dei fatti” mi astengo dall’esprimerla in quanto non la ho vissuta in prima persona, ma sicuramente ho un mio parere a riguardo perché oltre ad aver vissuto realtà affini comunque nella “trasmissione del mito” che è giunta fino a me rientra anche questo aspetto. 

Che quelli di cui stiamo parlando fossero contesti legati all’assunzione di sostanze stupefacenti è indubbio, sarebbe difficile immaginare il contrario in un contesto estremamente libero, ma sarebbe troppo facile banalizzare e ridurlo solo a quello:; ho avuto molte testimonianze di persone che andavano esclusivamente per ascoltare la musica e al massimo si bevevano una birra, anche se sembra assurdo. 

In generale la relazione che gli esseri umani hanno con le sostanze stupefacenti si può indagare in epoche e contesti molto distanti tra loro, ma comunque è una realtà che è sempre esistita e continua ad esistere, ma non solo nei rave e nei club, anche nei contesti in cui meno te lo aspetteresti. Analizzare il rapporto tra essere umano, sostanze stupefacenti, contesto sociale e urbano, credo sia un lavoro lungo. Sicuramente esiste molta letteratura a riguardo. 

Secondo me un “problema sociale” viene a esistere di volta in volta e la sua identità  cambia a seconda di chi lo definisce. Io credo che le droghe sintetiche non siano mai state un problema in sé e per sé, c’è da vedere invece quale possa essere stata la loro interazione con problemi sociali già preesistenti.

9. Negli ultimi tempi stiamo assistendo alla diffusione di approcci alternativi e volti a rendere più sicuri e sani gli eventi e gli ambienti per la club culture, soprattutto in ottica di informazione, inclusione e contenimento del rischio. Credi che stiano riuscendo nel loro intento di cambiare le cose rispetto per esempio a trent’anni fa?

Secondo me l’esperienza pregressa in determinate circostanze ha portato giustamente ad un maggiore senso di responsabilità da parte degli organizzatori. Io già 5 o 6 anni fa ricordo di aver trovato degli stand con opuscoli informativi per la prevenzione del rischio anche negli stessi rave party, ma credo si utilizzasse già molti e molti anni prima questo sistema di prevenzione.
In generale quello che vedo è che molti giovani soprattutto oggi sono più sensibili a queste tematiche anche se dipende molto dai contesti. Ci sono realtà più coscienti nelle quali è facile che ci si prenda cura a vicenda gli uni degli altri e si monitorino eventuali situazioni a rischio, ma ci sono circostanze in cui questo non accade. 

Ringraziamo Irene per la sua disponibilità e cortesia nel rispondere alle nostre domande. Per chi volesse approfondire la tematica e partecipare a una delle proiezioni, può seguire i canali social dedicati. 

Immagine di copertina: Credits Irene Atzeni