Ancora un importante contributo al nostro ciclo di interviste “È tutta scena”, la rubrica dedicata alla musica in Sardegna con le testimonianze di insegnanti, organizzatori di eventi, comunicatori, gestori di locali, tecnici, amministratori e di tutte quelle figure che “fanno scena”. Abbiamo raggiunto Daniele Ledda, musicista, docente al Conservatorio di Cagliari e ricercatore, da sempre impegnato sul fronte della musica elettronica, definizione, secondo le sue stesse parole, “generica e spesso ambigua”. Abbiamo cercato di conoscere meglio le sue attività e di mettere più a fuoco il rapporto tra il mondo accademico e quello reale.
Leggo nel tuo curriculum: artista sonoro, docente, ricercatore, insegnante di Musica Elettronica al Conservatorio di Cagliari e Musica e Nuove Tecnologie alla scuola civica di musica di Cagliari, direttore artistico dell’Associazione Ticonzero e anche del Signal. Ci siamo dimenticati qualcosa?
No, direi che sul piano professionale c’è un quadro completo.
La tua poliedricità ti rende il soggetto perfetto per il nostro ciclo di interviste, visto il tuo ruolo di insegnante, musicista e organizzatore di eventi. Partiamo dall’insegnamento di Musica Elettronica al Conservatorio di Cagliari. La scena elettronica nel cagliaritano è particolarmente prolifica e può annoverare delle eccellenze la cui notorietà è giunta ben oltre i confini regionali. Non tutti questi musicisti hanno frequentato il Conservatorio e molti sono autodidatti, ma quale credi sia stato il ruolo del corso di Musica Elettronica in questo fenomeno?
La stessa definizione di “musica elettronica” è molto generica e spesso ambigua, il corso di Musica Elettronica del Conservatorio è per sua natura un percorso di formazione attraverso la sperimentazione e la ricerca, quindi non si prefigge di formare, per esempio, producers techno, esperti di determinati software o tecnici da studio o da palco. È un corso che forma dei compositori che usano le nuove tecnologie in maniera sperimentale nel più ampio significato del termine. Chi ha già una attività artistica (anche da autodidatta) viene portato dal corso fuori dalla sua “comfort zone” e stimolato a completare la base culturale e ampliare la visione artistica.
Credo esista comunque un certo scollamento tra scuole di musica, nel senso più ampio del termine, e scena musicale. Sei d’accordo? E se si, a cosa credi sia dovuto?
In realtà c’è ancora una scollatura tra carriera accademica e carriera in altre scene, come il pop, il rock, il jazz o la techno, giusto per nominarne alcune, ma è una distanza che va restringendosi, perchè molti musicisti che hanno già una carriera scelgono il Conservatorio non solo per il titolo – che da, per esempio, accesso ai concorsi per l’insegnamento –, ma anche per allargare il proprio background e la propria consapevolezza culturale nella sfera musicale e artistica.
Quando è stato avviato il corso di Musica Elettronica al Conservatorio di Cagliari, il clima al suo interno era ostile nei suoi confronti oppure la volontà di istituire il corso era sinceramente sentita dall’istituto?
Dal punto di vista cronologico, ci sono state varie fasi. Il corso di Musica Elettronica è stato istituito nel Conservatorio di Cagliari negli anni ‘70 e si è evoluto fino alla riforma del percorso delle istituzioni AFAM nel 2001, che prevedeva il diploma di I Livello (equivalente alla laurea triennale) e quello di II livello (equivalente laurea biennale specialistica). L’atteggiamento diffidente verso altri settori del mondo musicale, lontani dall’ambiente classico e accademico – come Musica Elettronica e Jazz per esempio – all’inizio è stato sicuramente una realtà, ma al momento posso affermare, con altrettanta certezza, che sta andando dissolvendosi, grazie alla equiparazione della preparazione tecnica e teorica che si ottiene alla fine dei corsi e al conseguimento del titolo.
Ora, dopo tutto questo tempo, è cambiato qualcosa? E cosa credi debba ancora cambiare?
Sono passati ormai più di 40 anni dalla prima istituzione, e circa 20 dalla riforma dei corsi triennali e biennali. Tutta l’Istituzione Conservatorio è impegnata nel plasmare una scuola in presa diretta con il reale, cercando di leggere i cambiamenti e fare in modo che chi studia musica, la composizione, strumenti acustico o elettronici, possa inserirsi nei processi di produzione culturale, come strumentista e compositore per il teatro, la danza, il video, il cinema, internet, l’insegnamento nella scuola pubblica o privata o per ideare e promuovere un proprio progetto originale.
Invece con il corso di Musica e Nuove Tecnologie alla scuola civica di musica di Cagliari, è stato diverso? Quali sono le differenze di approccio tra Conservatorio e Scuole Civiche?
Sono istituzioni con finalità differenti. Il Conservatorio è una scuola di Alta formazione, con un titolo che indirizza verso il mondo professionale della musica. La scuola Civica nasce come scuola di formazione popolare, dove i cittadini di ogni età possono praticare la propria passione per la musica, partendo da zero o no, con un percorso piuttosto agile, ma rappresenta anche uno stadio di test per un eventuale passaggio al Conservatorio.
Le scuole civiche in generale non godono di un’ottima fama nell’ambiente musicale, soprattutto a causa della presunta non adeguata qualità dell’insegnamento. Eppure giocano un ruolo fondamentale nell’educazione musicale nella nostra Isola. Qual è il tuo punto di vista?
Non mi trovo in accordo con questa affermazione. La selezione degli insegnanti attualmente è accurata, avviene tramite concorso e il livello della loro preparazione è assolutamente alto.
In veste di organizzatore annoveri sul tuo medagliere il Signal, uno dei festival più innovativi e sperimentali che possa vantare la città di Cagliari. Come avviene il reclutamento dei musicisti, vista anche l’ampia offerta sul territorio?
Da quando ho preso l’impegno della Associazione Ticonzero e anche del Signal, la mia priorità è stata quella di dare spazio e sviluppo alla risorse artistiche locali, non con un richiamo episodico, ma come manifestazione di un laboratorio permanente. La creazione di una rete i cui nodi sono sempre attivi nella produzione e sperimentazione. La rete in questo senso, per usare un parallelo informatico, è una rete locale. A prescindere dal genere praticato, la proposta deve essere di alto profilo autoriale e di brillante originalità.
Come musicista invece le esperienze (Coincidentia Oppositorum, Experimento, Syntax Error, Spectrasonic, Snake Platform, la docufiction Six Memos, il progetto solista Clavius) e le tue collaborazioni (Marcus Stockhausen, David Moss, David Shea, Otomo Yoshihide, Marco Cappelli, Marc Ribot, Elliott Sharp, Eric Bogosian, Jim Pugliese o la danza con Maurizio Saiu e Marta Bellu), sono ben ampie e varie. Ora, l’esperienza e il fatto di essere ben inserito in un contesto “istituzionale” come quello del Conservatorio, forse ti semplifica le cose dal punto di vista delle possibilità. Ma immagino non sia sempre stato così. Ci racconti un po’ il tuo percorso?
L’attività di docente è una missione che ha dei punti di contatto e condivisione con la mia attività personale, ma non rappresenta una semplificazione in termini di occasioni. Di sicuro l’attività di insegnamento è motivo di ispirazione e stimolo anche per la mia produzione.
La mia formazione è partita da bambino con lo studio di strumenti a fiato nella banda, per poi passare al pianoforte e alla composizione al Conservatorio, lo studio dell’informatica alle superiori, fino al diploma accademico di I e II livello in Musica Elettronica al Conservatorio di Cagliari. L’esperienza fondamentale sul campo è stata quella del Laboratorio di Elaborazione del Suono del Festival Spaziomusica durante gli anni ‘90, quando sono entrato in contatto con i maggiori compositori e interpreti della musica elettronica e contemporanea a livello internazionale.