Settimo appuntamento con “È tutta scena”, la rubrica dedicata alla musica in Sardegna con le testimonianze di insegnanti, organizzatori di eventi, comunicatori, gestori di locali, tecnici, amministratori e di tutte quelle figure che “fanno scena” pur senza uno strumento sul palco. Per l’occasione Mauro Piredda ha intervistato Alessio Mura, non nelle vesti dell’affermato rapper Su Maistu, ma come speaker radiofonico e conduttore della trasmissione “Sonus de oi” su Radio X.
Come si inserisce l’idea della trasmissione “Sonus de oi” da te condotta all’interno del tuo percorso professionale?
Il mio percorso professionale inizia proprio con la radio. Ho mosso i miei primi passi all’interno di una piccola emittente radiofonica del mio paese, Mogoro, quando avevo appena quindici anni. Erano i primi anni ‘90 e conducevo una trasmissione legata alla musica rap, una delle poche ai tempi, non solo in Sardegna ma in tutta Italia. Poi, una volta trasferitomi a Cagliari per gli studi universitari, ho avuto da subito la possibilità di lavorare con Radio X con il programma “X Coast” con Andrea Artitzu e Joe Perrino e diverse altre esperienze anche a Radio Press. L’idea del programma attuale, “Sonus de oi” nasce da un’idea condivisa con Sergio Benoni. L’obiettivo postoci era quello di fare una panoramica degli artisti in Sardegna, delle loro esperienze durante l’anno del covid senza preclusione di genere musicale e tutto in sardo.

“Sonus de oi” la possiamo ascoltare dal sito, tramite l’archivio delle puntate, ma anche direttamente dalle vostre frequenze. Hai un feedback da parte dei tuoi ascoltatori?
Sono stati tantissimi i feedback positivi da parte degli ascoltatori, sia da parte di chi si è sintonizzato in diretta, sia da parte di chi l’ha ascoltato tramite i social o i podcast. Il format è piaciuto e molti hanno apprezzato il fatto che siano stato coinvolti artisti a loro sconosciuti. Possiamo dire, sintetizzando, che i feedback positivi riguardano la scelta di intervistare artisti emergenti, che per quanto ci riguarda meritavano di essere citati insieme ad altri più conosciuti come Paolo Fresu ed Elena Ledda (per fare giusto due nomi), e l’uso della lingua sarda.

Pensi che il formato radiofonico possa aiutare la scena sarda? Come è bilanciata la trasmissione dei pezzi dei nostri artisti in tutto il palinsesto?
Credo che il formato radiofonico sia molto importante per far conoscere i nostri artisti. Cerchiamo di farlo attraverso la loro musica ma anche attraverso le loro parole. Ma la questione non riguarda la sola trasmissione “Sonus de oi”. Le novità del panorama isolano le proponiamo all’interno di tutta la programmazione di Radio X. Quindi sì, il formato radiofonico da il suo contributo alla scena sarda.

Che attenzione c’è alla scena “regionale”, per la tua esperienza, sia da parte del pubblico, sia da parte dei musicisti stessi?
Questa scena, nel corso degli anni, almeno per come la conosco io, si è sempre contraddistinta per essere molto viva, variegata e creativa. Da qui sono uscite molte realtà importanti. Anche i musicisti stessi sono coscienti del fatto che c’è una bella scena, che c’è un bel fermento. C’è quindi una forte attenzione che va crescendo. Ci sono tanti nomi validi e soprattutto c’è apprezzamento da parte del pubblico.

Hai intervistato diversi artisti della scena musicale sarda attuale. C’è, sulla base delle loro risposte, qualcosa che accomuna le loro esperienze? Quali sono le potenzialità e quali le problematiche?
Sì, c’è qualcosa li accomuna. Sicuramente il forte senso di appartenenza. Ma al di là di questo emerge in tutti loro una piena consapevolezza del fatto che oggi sia necessario non solo essere artisti. Oggi occorre saper proporre la propria musica dappertutto, anche attraverso i social. C’è poi un altro tema trasversale emerso nelle interviste con gli artisti che stanno all’estero, ed è la scarsa considerazione del musicista che esiste in Italia, soprattutto se facciamo il paragone con altri paesi come la Francia, la Svezia o la Germania. In altri posti il musicista è considerato un lavoratore. Emerge infine il fatto che in Sardegna ci sono tantissime potenzialità, ma i centri nevralgici della musica in Italia non sono Cagliari o Sassari ma Milano e forse Roma. Qui mancano le strutture. Sono aspetti molto importanti che stiamo iniziando ad affrontare, perché la musica non è solo suonare, ma anche organizzare, promuovere, stampare, produrre.

Esiste una voglia di “fare scena” o comunque, più in generale, di fare rete, di collaborare tra i musicisti? Esistono delle realtà che riescono a superare l’atomizzazione e l’autoreferenzialità che spesso domina?
Quello del “fare scena” è un tema che accompagna la musica da sempre. Anche in Sardegna ci sono musicisti che fanno scena e che vogliono farla (nel senso che vogliono contribuire a crearla e a valorizzarla); ce ne sono altri che vivono la loro vita musicale in assoluta solitudine, ma purtroppo è sempre stato così. Però ci sono delle belle realtà che collaborano tra loro per creare qualcosa di concreto e che possa anche essere esportabile. Ci sono delle belle realtà e tante persone che collaborano anche tra generi diversi per provare a fare scena.

La trasmissione è tutta in sardo e gli artisti ti rispondono in sardo o con altre lingue di Sardegna. La prima cosa che ti chiedo è se con la tua trasmissione riesci a dare il tuo contributo circa la comprensibilità reciproca tra i vari dialetti della nostra lingua.
Sia in questo che in altri programmi l’utilizzo della lingua sarda non è stato un problema. Nessuno ha avuto difficoltà ad esprimersi con il proprio sardo, e nessuno ha avuto difficoltà a capire le parole dell’interlocutore. C’è una totale reciprocità nella comprensione. Io parlo in campidanese e ho intervistato persone che utilizzano altre varianti. Ma non c’è stata difficoltà neppure con chi ha utilizzato il catalano di Alghero, il gallurese o il tabarchino. Con la buona volontà ci si capisce tutti e credo che il programma dia un contributo in questo senso. Ho scritto anche un pezzo su questo tema, anche se non è ancora uscito, e che si chiama “Fueddu sardu”.

La gestione di un programma radio in questo modo ci da inoltre un’idea delle potenzialità veicolari della nostra lingua. Che problema c’è, a tuo modo di vedere, con la musica, quando si preferisce comporre ed esibirsi in italiano o in inglese?
Scegliere una lingua anziché un’altra è assolutamente soggettivo. So però bene che con il sardo si possono fare tante cose importanti e tanti generi diversi, dall’hip hop al reggae, dal rock all’elettronica, dal jazz al soul. La nostra lingua si presta a tutti i possibili utilizzi. In alcuni casi anche con eccellenza. Ripeto, è molto soggettiva la questione della scelta linguistica e credo che ci siano delle motivazioni personali. Probabilmente c’è chi pensa che tramite l’utilizzo dell’italiano o dell’inglese si possa arrivare un po’ più lontano. Se posso dire la mia, anche dal punto di vista dell’artista, per me il sardo non è mai stato un limite. Anzi, è stata una peculiarità molto importante anche in merito alla mia carriera di rapper.