Si parte sempre dai nomi per presentarsi all’esterno. Andrea Sanna e Nicola Pedroni non fanno eccezione: utilizzano i loro cognomi riuscendo – prodigi della casualità – a suscitare finanche un immaginario nel curioso ascoltatore.
Nasce così il progetto Drone San, giunto alle stampe con l’omonimo disco, che, non a caso, si apre e si chiude con i due nomi scelti a battesimo del progetto rilasciato da Horribly Loud Records, neonata etichetta fondata dagli stessi Sanna e Pedroni “come incubatore – contenitore di realtà creative accomunate da un’attitudine di ricerca”.
Sette tracce da ascoltare senza soluzione di continuità per salire a bordo dell’astronave guidata dai due e perdersi nel lungo “viaggio interplanetario alla ricerca di possibili forme di vegetazione, purtroppo scomparse nel nostro mondo”. La cornice sci–fi permea l’intero disco, dalla copertina,a cura dell’illustratrice Yoshi Mari, fino alle scelte di sound design, stilisticamente coerenti con essa.
Ma c’è un altro viaggio da affrontare, ancora più avvincente e curioso: quello tra la marmilla e il west. E per i due è l’occasione di fare incetta di souvenir stilistici con i quali arredare la propria astronave. Così, in mezzo ai fields recording tra le domus de janas, si scorgono cartoline da Londra (il new jazz dei Portico Quartet), dalla Florida di Frank Zappa e da New York, dove i due hanno strizzato l’occhio a Ian Wiliams e i suoi Battles.
Difatti, se la trama del disco può dirsi fatta di jazz, l’ordito è spavaldamente math.
Se già lo si poteva immaginare dal singolo “manifesto” Ornamentalities – un ostinato di batteria dispari attorno al quale si estendono arpeggiatori, synth e LFO schizofrenici – l’intero scorrere della tracklist conferma la fattura stilistica del disco.
Ci sono scene, anche e soprattutto territoriali, che della sperimentazione che preserva l’armonia stanno facendo il loro punto di forza. Si tratta di un terreno angusto, disseminato di tentazioni manicheiste o di soluzioni rassicuranti, ma Drone San sembra muoversi nella giusta direzione. D’altronde se ci si prende la responsabilità di guidare un’astronave è per osare, per essere “esploratori, pionieri. Non dei guardiani”.