“Sento l’odore del cambiamento, di un sollievo pagato a caro prezzo, come l’odore di muffa che preannuncia la pioggia estiva. Una nuova era e una nuova concezione della bellezza come vasta gamma, non come luogo preciso”. (David Foster Wallace)
C’è ancora qualcosa che si può aggiungere alla libreria della sperimentazione sonora? Ci sono ancora spazi inesplorati e intuizioni che nessuno ha mai avuto prima? La risposta è: forse. E in quel forse si nasconde il coraggio e la tenacia con cui tanti musicisti continuano a vagare nei meandri della libera espressione artistica. Siamo in territori di assoluta incoscienza ovvero in una terra dove le certezze svaniscono, gli assoluti degradano verso un soffice tappeto di possibilità e tutto appare indefinito, incerto, in bilico tra confini che nessuno ha voglia di rimarcare. La misura con cui valutare queste composizioni ha a che fare con sistemi che si stabiliscono in quel oltre-luogo situato prima e dopo la scienza. Si viaggia con mappe immaginarie e con strumenti che poco hanno di concreto se non nella semplice e mutevole creazione di suoni, nella capacità di varcare i limiti della conoscenza.
Balestrazzi e Sanna sono pianeti lontani per formazione e approccio artistico ma proprio per questo hanno deciso di condividere la comune passione per l’alea e i misteri delle possibilità acustiche. Sanna è uomo di materia, di cose, di oggetti, cultore dei materiali che circondano la nostra vita e che nel loro intimo nascondono infinite possibilità estetiche: musica concreta, arte povera o semplicemente il rumore del mondo. Balestrazzi lavora da sempre su suggestioni digitali, elettroniche, su ipotesi che non esistono nella realtà effettuale, ma che si svelano grazie alle macchine e alla loro capacità di interagire con il reale per creare nuovi scenari e inedite suggestioni. Un approccio concettuale nel suo essere creazione di puro pensiero seppur fortemente legata alla filosofia industrial e alla cyber culture. Solo in apparenza le loro sembrano esperienze inconciliabili, nella sostanza tanto affini da risultare complementari e omogenee e il risultato finale è un unico e indissolubile incrocio di informazioni.
E qui, in questo incredibile incontro, in questa improbabile comunione si arriva dove mai si pensava di arrivare: in quel forse che diventa terreno di conquista e spazio da cui ripartire per un nuove sperimentazioni. Potrebbe essere proprio questa la vera essenza di Disrupted Songs: unire le forze per forzare le gabbie della conoscenza e abbandonare il proprio ego, aprire nuovi sentieri e indicare nuovi paradigmi di conoscenza, trovare quel punto di rottura che potrà essere l’inizio di un nuovo mondo o semplicemente decretare la fine di un sogno, la dissoluzione di un impero. Composizioni in frantumi, spezzate, divise per poi rinascere in nuove sembianze. Materia e sostanza che si sfaglia e si ricompatta con un profondo piacere nel vagare verso l’ignoto, l’imprevedibile: musica improvvisa figlia del caso e della necessità. Senza sapere se ci sarà un poi, un oltre, qualcosa su cui contare. Forse.