I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo (Ludwig Wittgenstein)
Francesca Corrias è tornata sui nostri impianti stereo per la seconda volta in questo 2021 a pochi mesi dall’uscita del secondo disco dei Roundella. È un bel periodo per questa artista che si conferma una delle migliori espressioni del jazz contemporaneo con una sua identità forte e riconoscibile. Vale la pena di ripassare velocemente le varie pubblicazioni della Corrias, tutte rigorosamente targate S’ard che è da sempre la sua casa o meglio na minha casa usando il portoghese, una delle sue lingue preferite.
Nel 2008 esordio col botto con il progetto Sunflower. L’album si intitolava Frattale ed era un ottimo biglietto da visita che lanciava la Corrias nell’olimpo delle grandi voci isolane (ma non solo, a dire la verità). In questo frangente i suoi compagni erano Filippo Mundula (contrabbasso), Pierpaolo Frailis (batteria) e Sandro Mura (piano) e qualche ospite per completare una bella raccolta di song sospese tra jazz contemporaneo e ritmi provenienti da resto del mondo, con particolare piacere alla musica brasiliana. Testi in italiano, inglese e portoghese e una voce inconfondibile e già matura. Nel 2012 arriva Songshine questa volta a suo nome con qualche variazione d’organico e una filosofia estetica che è ormai un vero e proprio stile con la dovuta maturità che l’esperienza si porta dietro. Un album in cui convivono diversi linguaggi, non si pone limiti strutturali e tutto è funzionale alle storie che vengono raccontate. La presenza di Stefano D’Anna e Alessandro Di Liberto fornisce la giusta dose di esperienza e respiro internazionale e il disco è la conferma di quanto si sospettava.
In parallelo alla sua esperienza solitaria Francesca Corrias è parte fondante del progetto Roundella che, per il momento, ha all’attivo due pubblicazioni: Biography del 2015 e il recente Mind The Loop Of Mind sempre sotto la targa S’Ard. Una proposta che ruota intorno alle sfumature più dark del jazz contemporaneo con chiari riferimenti al soul, al R&B, al rap e al new funk: musica dalla forte indole black, metropolitana, dai toni scuri e dal temperamento selvaggio, come suggerisce la migliore tradizione della black american music (o BAM se preferite).
Ed eccoci a De Diora che rispolvera a distanza di undici anni il brand Sunflower con la forte novità di essere un disco quasi completamente cantato e pensato in limba sarda. È quello che potremmo definire il disco della presa di coscienza, della consapevolezza di essere figli di un’isola che è un universo compiuto e definito. Si percepisce la necessità di guardarsi indietro per capire da dove si arriva e il coraggio nell’utilizzare una lingua che è disponibile, ma spesso viene lasciata nel garage della memoria. Quasi tutti gli artisti sentono a un certo punto della loro carriera la necessità di pubblicare qualcosa di molto personale, di raccontare nel modo più semplice possibile quello che sono. Qualcuno lo fa con un processo di alleggerimento degli arrangiamenti tornando alla semplicità del suono acustico, altri lo fanno con raccolte di cover. Francesca Corrias ha scelto di farlo utilizzando la propria lingua madre: il sardo del sud della Sardegna, quel campidanese che spesso abbiamo apprezzato nei lavori di Rossella Faa e dei Ratapignata/Malasorti. Francesca Corrias ha capito quanto sia importante poter disporre di una lingua tutta per noi che garantisce un ventaglio di ulteriori possibilità cognitive, accresce le possibilità di comunicare e ci fa sentire parte di un mondo esclusivo e unico. Ecco De Diora è proprio questo: un diario intimo ideato e pensato in sardo che ci regala piccole storie del vivere quotidiano, di chi si stupisce ancora di quanto possa essere complessa la semplicità delle cose e che non teme la sfida di fare i conti con il proprio destino. E se vogliamo è anche uno sguardo verso il futuro come il brano Cabalelè che chiude il disco e sembra anticipare The Shape of Jazz to Come.
In questo mood credo di poter avvicinare Francesca Corrias alla grande cantante brasiliana Flora Purim per la stessa capacità di utilizzare diverse lingue e diverse culture, di riuscire a essere così legate alla propria terra, pur utilizzando musiche e stili di altri mondi: un equilibrio delicato e fragile che permette di far convivere la propria cultura con le spinte del mondo esterno e una vicenda personale che è strettamente connessa con quella artistica in un continuum di emozioni e sentimenti.
De Diora è stato realizzato con il supporto dei Sunflower (Corrias, Mura, Mundula e Frailis) e alcuni aiuti di non poco conto: Marco Argiolas, Matteo Sedda, Luca Faraone, Gianluca Pischedda, Olesya Emelyanenko, Massimo Ferra, gli arrangiamenti di Simone Lobina e Michele Palmas e la preziosa consulenza linguistica di Maria Gabriela Ledda.