Fa capo a Daniele Ricciu il Danyart New Quartet che torna sulla scena con l’album Fiori e Tempeste, pubblicato lo scorso 13 dicembre, grazie alla label siciliana Isulafactory: jazz di pregevole fattura che rimanda a gloriose esperienze del passato, ma con lo sguardo rivolto a un orizzonte ancora tutto da inventare. Daniele Ricciu è un sassofonista su cui puntare e da seguire con attenzione. La sua visione della musica abbraccia non solo la grande storia del jazz, ma si nutre di tante altre pietanze, spazia tra i generi e scava nei meandri del pensiero sociale, della storia, della filosofia e di tante altre espressioni della creazione umana.
Quasi un post-umanesimo che sembrerebbe fuori tempo massimo e invece appare come una delle poche possibilità per definirsi artista in questi strani tempi. In realtà lui si definisce un songwriter senza parole, un moderno cantore la cui voce è lasciata agli strumenti, ai suoni e al necessario coinvolgimento di chi ascolta. Ci troviamo di fronte in questo frangente a qualcosa che si potrebbe definire – come suggeriva Umberto Eco – ‘opera aperta’, una creatura che ha bisogno di attenzioni particolari, partecipazione, coinvolgimento emotivo, empatia.
Fiori e Tempeste è proprio questa roba qua e contiene al suo interno tutto il pensiero logico e illogico del suo creatore: uno stile di vita, un nuovo modo di stare al mondo. Si respira in queste tracce la volontà di superare le soglie del conosciuto, la voglia di rompere gli schemi della tradizione, scrivere storie che nessuno ha raccontato. Questo tipo di approccio – multidirezionale, instabile, ubiquo, sperimentale – arriva dalla lunga esperienza vissuta sul campo, da ostinati percorsi di studio, da fascinazioni e innamoramenti che ne segnano il cammino.
Alcune di queste sensazioni si avvertivano già nel precedente La musica mi ripara del 2018, che sin dal titolo lasciava intuire quanto la musica possa essere un rifugio (quasi) sicuro e persino una buona medicina per lenire i tormenti del vivere. Tutto confermato da questo nuovo lavoro, che segna un significativo passo avanti e appare più compiuto e ragionato, frutto di profonde meditazioni, risultato di un progetto che ha potuto contare su perfetti compagni di strada.
Il sax di Ricciu ha potuto contare su musicisti di esperienza dalle visioni molto ampie. Simone Sassu (pianoforte), Lorenzo Sabattini (contrabbasso) e Antonio Argiolas (batteria) non hanno bisogno di molte presentazioni e il loro percorso artistico comprende alcune delle migliori esperienze della nostra musica (nostra in senso isolano) in quasi tutte le sue varianti, dal rock, al blues, dal jazz alla tradizione e tutto quello che si trova nelle pieghe di queste storie sempre con una innata predisposizione verso la sperimentazione e la libertà creativa.
Fiori e Tempeste è musica contemporanea, da intendersi come musica dell’oggi, specchio di questi tempi tanto liquidi quanto instabili. Jazz certo ma vissuto nella sua migliore accezione, quella di un linguaggio sempre in divenire e pronto a mutare, aperto come si diceva sopra, ultramoderno. Sono otto composizioni che, nel loro insieme, costituiscono un corpus omogeneo e ben definito e dal loro ascolto si intuisce la perfetta coesione del gruppo e la voglia di non strafare, si ha la sensazione che tutto sia funzionale alla causa e che ogni nota sia quella giusta, nelle parti scritte oppure quando i musicisti danno spazio alla propria libertà creativa.
Anche in questo frangente il caos è sempre e comunque sotto controllo, nel rispetto delle regole di ingaggio, quella roba che Robert Fripp chiamava ‘disciplina’ e che non ha niente a che fare con la coercizione e la mancanza di libertà. Sono i fiori che riprendono a brillare dopo la tempesta, la gioia di ricominciare quando tutto sembra perduto. Forse la stessa musica che avrebbero suonato Alice e John Coltrane se fossero ancora qui e che per magia rivivono in questi solchi.