Animami – Dalila Kayros

Claudio Loi Musica, Recensioni

La prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando Animami è stato il titolo di un vecchio disco di Joan La Barbara, Voice Is The Original Instrument, per quel richiamo alla natura originaria del suono, ai primi vagiti degli esseri umani, alla presa di coscienza di essere produttori di suoni, macchine e strumenti di comunicare. Continuando nell’ascolto sono apparsi dal cilindro dei ricordi nomi come Meredith Monk, Diamanda Galas e, in tempi più vicini a noi, Lingua Ignota, Carla Bozulich e la Björk dei dischi incisi in compagnia dei Matmos. Dalila Kayros vive in questo meraviglioso teatro di pace, di creatori di suoni e immagini, è parte integrale di questo mondo, di questa innata voglia di esplorare che sposta in continuazione i limiti della conoscenza e diventa quasi un’ossessione, una ragione di vita. 

Al terzo album Dalila Kayros sembra aver trovato le coordinate giuste per proseguire nel suo viaggio, ha capito da che parte stare e dove andare e lo ha fatto grazie all’apporto di Danilo Casti, con cui collabora da diverso tempo: una presenza sempre più preponderante e imprescindibile. La sua elettronica non è solo “accompagnamento”, ma svela qualcosa di più intimamente connesso con la filosofia di Kayros: le due anime appaiono ormai come un meccanismo perfetto e indissolubile e viene difficile pensare a un semplice rapporto di lavoro: nella loro musica si percepisce qualcosa che trascende la semplice notazione musicale e si percepisce la perfetta sincronia/alchimia di suoni, voci, rumori, ritmi, lamenti (e non a caso sono emersi dall’inconscio i delicati equilibri sonori creati dai Matmos).

Animami è un viaggio nel cuore delle tenebre, nella terribile oscurità delle nostre menti, all’interno delle più intime manifestazioni della psiche. È una deriva che richiama drammatiche sedute di autocoscienza, messa a nudo di sensazioni, di ricordi dispersi nel vuoto della memoria, di tutte quelle cose che compongono la totalità dell’essere ma rimangono negli angoli bui della mente, in quella zona d’ombra che preferiamo ignorare. Animami si infila la dove sarebbe meglio non andare, in quella stanza buia infestata da tzerpius e lo fa utilizzando tutte le possibilità offerte dalla voce umana e dalla nuova visione del mondo creata dalle macchine e dalla liquida e glaciale cultura digitale. Il più arcano degli strumenti musicali diventa in questo modo nuova forza creatrice e riesce persino a rendere più umana l’instabile narrazione elettronica. 

Sta proprio qui la magia e la potenza di questo lavoro: nel riuscire a rendere compatibili  culture lontane e antitetiche, annullare le distanze, comunicare. Il lavoro di Dalila Kayros e Danilo Casti ci aiuta a capire meglio quella strana esperienza che Demetrio Stratos chiamava “cantare la voce”.