Gli OverTheOven sono quattro ragazzi poco più che ventenni: Gianluca D’Ippolito e Gabriel Grazzini, nel ruolo di musicisti e produttori, Sara Belloni e Michele Zanda in quello di cantanti.
Una band “formato 2020”, come loro stessi si definiscono, un progetto nato e cresciuto in studio, durante una pandemia, senza aver mai fatto un’esibizione dal vivo. Poco più di tre anni fa hanno avviato la lavorazione di un disco, che ha visto la luce lo scorso dicembre, dopo una lunga gestazione, segno della volontà ferma di pubblicare qualcosa di valido e rappresentativo del proprio tempo. “Ci piace pensare che in questi anni è come se avessimo rinchiuso tutte le nostre emozioni, preoccupazioni, pensieri, speranze in un unica stanza, una sorta di bozzolo, dove abbiamo scritto e inciso le canzoni, per poi poterle finalmente condividere e farle uscire, come per iniziare una nuova fase di vita”. Ed ecco Crisalide, stadio che precede la nascita di una farfalla e titolo del disco “…che riassume in sé quell’esigenza di crescita, di flusso continuo che abbiamo cercato e cerchiamo ancora per migliorarci sempre”.
Crisalide può inserirsi, senza troppi timori riverenziali, nel filone cosiddetto indie-pop di stampo italico – vedi Carl Brave, Ginevra, Coma Cose, Gazzelle e robe così – ottime produzioni, sofisticate ad hoc per un mercato avvezzo alle patinature, rispetto alle quali mostra però ingredienti davvero indipendenti. Uno su tutti: il disco è autoprodotto. I ragazzi hanno infatti costruito con le proprie manine ventenni uno studio di registrazione, all’interno del quale hanno inciso, mixato e masterizzato i brani in totale autonomia. Fa eccezione solamente il singolo Cuffiette, che ha visto l’intervento di Glitchboy_2.0 (al secolo Carlo Mascia) nelle fasi finali di produzione e mixing. Certo, la nitidezza dei suoni ha risentito dell’approccio covid-core, in particolare nei brani più radiofonici, con un risultato mid-fi che non rende giustizia alle soluzioni trovate e fatica nel confronto con i riferimenti oltremare della band. Ma i quattro, forti degli studi di composizione, hanno creato e inciso le basi ognuno nella propria cameretta, provando i brani e scrivendo testi a distanza, fino a sovraintendere a tutto il processo creativo che ha portato alla pubblicazione del disco (uscito di recente anche in formato fisico).
C’è ancora da lavorare, chiaro, ma quanto fatto finora non è poco: le canzoni sono ben strutturate, filano dritte, gli arrangiamenti funzionano, le melodie sono forti e si stampano in testa (Banale, Cuffiette, Tiramisù), segno che le idee musicali ci sono e arrivano senza troppi sbattimenti di post-produzione. Ai brani squisitamente pop che fanno da traino al disco, si affiancano atmosfere più cupe (1,5L, Notti di strade deserte), episodi più rock (Reckon, Jack senza stage), black (Strade deserte, Let me dream) e latineggianti (Esotica). In aggiunta a questo, l’uso delle doppie voci, dei cori e il ricorso a due distinti tipi di cantato – quello più marcato di Michele e quello più vaporoso di Sara – rendono il lavoro estremamente variegato – forse anche troppo – ma appetibile per potenziali ampie platee, eterogenee per età, estrazione culturale e riferimento musicale.
Un lavoro forse non troppo coerente, ma fresco, contemporaneo e, soprattutto, spontaneo, ben rappresentato dall’onesta metafora entomologica che dà titolo all’album: con coraggio il primo passo è compiuto, il bozzolo è rotto e ora un colorato lepidottero può provare a sbattere le sue ali nell’eterea e liquida vastità del grande pubblico.