Sarà capitato a tanti, in lunghe e tribolate giornate lavorative, di provare a trovare ristoro raggiungendo una piccola oasi nella propria mente dove ripensare alla leggerezza e alla spensieratezza dei propri vent’anni. Delle partenze, dei vuoti scavati dietro, cambiando abitudini, compagnie, lavori, dei lunghi anni passati nelle città a diventare quello che siamo oggi.
E oggi? Ecco, se davvero volete sapere cosa passa nella testa di un ragazzo di Cagliari, nato nel 2000, senza dover per forza decifrare i sempre meno loquaci comportamenti di una generazione troppo distante da voi – e senza per necessità familiarizzare con TikTok o Minecraft – Sgribaz e il suo nuovo lavoro “Cosa Saremo” sono il giusto compromesso per incontrarsi a metà strada. Il tutto al costo di evadere dalla propria comfort-zone, con coraggio, verso territori meno familiari, dando per assodata una certa parità di genere quando si parla di rap/trap nel 2022. Un discorso che, probabilmente, sulla scena sarda lascia più vittime che vincitori, vista l’ascesa tutt’altro che precoce di una scena trap di peso e l’assenza di un “crossover” generazionale tra old school e nuova onda del rap di seconda generazione.
Aldilà delle scelte di genere, Sgribaz rappresenta un buon termometro con cui misurare lo stato di salute della nuova scena isolana per almeno due motivi: la consapevolezza dei propri mezzi, con due mixtape in poco meno di un anno che hanno tutto il sapore di un percorso già tracciato lungo i bordi, solo da strappare con attenzione. Si aggiunga, poi, un’attitudine esplicita a voler lasciare il segno a tutti i costi («È il momento di far capire a tutti che non siamo di passaggio», Back2Back) raccontando un paese reale, senza bigliettoni tra le mani né catene d’oro al collo («pesan le parole mica i dindi», In Town), ma con sei ore di sonno al giorno e il resto diviso – non troppo equamente – tra vasche a lavoro e musica in versi («sta vita non ho richiesto, trovo un lavoro, dormo sei ore», Forse e Come). Talento, determinazione e tanta fame.
A onor del vero, a rimbastire una scena sempre più in difficoltà nel rinnovarsi ci si sta provando ancor prima di Lorenzo Calderone, celato dietro l’alias Sgribaz: abbiamo provato a piantare diverse bandierine, con esempi quali i Greener than your Neighbor’s Garden, Over the Hooven, Nervo, degni gregari in una corsa in discesa, ma da bendati, senza ben sapere in che direzione rivolgersi. É Sgribaz – non ce ne vogliano gli altri – ad apparire meglio attrezzato sulla prova di resistenza, nell’allungo verso la permanenza sulla scena, portandosi dietro un movimento da cui la nuova scena stessa sembra evolversi, una piazza (o meglio “piazzetta”) da cui tutto è partito e a cui tutto riporta, un’eco di voci di personalità che si distinguono nei mixtape, da Praci a Luchetto.
Cosa Saremo vive di tre momenti distinti, delineando un artista in piena fase di sperimentazione sulla via della maturazione artistica: una prima parte di hip hop puro, una seconda più cruda e punchliner dove i beat diventano più scuri, la fine più pop (Sorry ci ricorda alcuni momenti in salsa pop-punk alla MGK).
Testi diretti, coscienza genuina, quanto basta di nuovo slang, ma senza portarsi dietro il vocabolario, e una spinta tanto artistica quanto intima e viscerale a comporre versi su una vita nella “city” che prende in faccia le sfide della maturità. Temi attualissimi, dai turni interminabili di un lavoro precario, all’abbandono di studi e aspirazioni per l’imbocco di percorsi da monetizzare sul breve («se tirarsi su fosse così facile come non avere niente dentro le mie tasche», Rimanere non è andarsene). Incertezze che sembrano riverberarsi con maggior fragore nei millennials, che così “giovani” non appaiono più: sono individui in piena fase di maturazione, che scelgono lavori, lasciano indietro città e affetti. Protagonisti di racconti urbani dove emerge, soprattutto, uno spirito combattivo tutto moderno che fa a spallate con l’annichilimento delle sfide della maggiore età da poco raggiunta («non canterò per contanti ma per contarvi dentro il mio cuore», Cosa Saremo).
Guardando in casa nostra, con Sgribaz arriva una nuova proposta di genere che si allontana profondamente dall’eredità del recente passato, discostandosi dalle tematiche incentrate sull’appartenenza isolana e sulle tradizioni, e altrettanto lontana dalla più facile deriva goliardica del rap sardo, per un risultato che sembra voler deliberatamente aspirare all’accostamento con i prodotti della scena nazionale (Shiva, Paky, Neima Ezza per citarne alcuni). Uno scossone di appena 24 minuti per scrollarsi di dosso anche la pesante eredità della Machete e di Salmo.
Segniamoci questa storia: quella di un ragazzo che voleva fare il giocatore di basket, come racconta lui stesso in alcune interviste sul web, e che in risposta veniva ammonito dal nonno “sei alto 1,70 dove vuoi andare?“; lo stesso che andava malissimo in italiano, ritrovatosi poi tra le mani una naturale predisposizione alla scrittura in versi. Tutto il contrario di tutto, insomma. Come unire due culture tra Cagliari e Sassari, così geograficamente ed empaticamente distanti, sotto la stessa bandiera di una Nuova Sardegna del rap.
Sta cambiando la geografia del rap italiano e se, in questo gioco, Rondodadosa è la faccia di Milano, la 126 quella di Roma, Drilliguria quella di Genova, Sgribaz e soci sono le nuove facce di Cagliari e della Sardegna tutta.