Claudio PRC, Porceddu all’anagrafe, non ha bisogno di grosse presentazioni. Producer classe ‘87, ha iniziato a muovere i suoi primi passi nel 2006, di lì a poco il salto con la Prologue, nel 2010 i primi EP e la fondazione dell’etichetta The Gods Planet con l’amico Ness. Poi progetti audio/visuali live, infinite collaborazione (tra cui quella con Svart1) fino a “Volumi Dinamici“ del 2017 a cui segue una progressiva intensificazione delle sue produzioni. La sua pagina su Discogs parla chiaro: 7 album, 23 tra singoli ed EP, e circa 200 tra appearances e credits. La sua imponente produzione racconta di un musicista visionario, eclettico e attento ai dettagli, che propone un’elettronica sofisticata, capace di spostarsi tra IDM, techno e ambient per coprire un ampio ventaglio di atmosfere e scenari. Un progetto consolidato nel tempo il suo, che ormai non ha bisogno di ulteriori conferme e che, a distanza di quasi vent’anni dal suo abbrivio, può dirsi certamente maturo.
Nel suo ultimo lavoro, Unda, uscito per 012, Porceddu si cimenta nella rappresentazione del movimento e mostra tutta la sua accortezza nel portarlo in musica. Con un afflato deep lo incentra sulle onde e con due lunghe tracce, da 25 minuti ciascuna, prova a delineare la dualità che le contraddistingue. Nella prima parte si muovono placide; in un continuo andare e venire, la loro reiterazione dilatata è esaltata, a riportare una persistenza che non si dissolve mai del tutto, una presenza inalterabile, come quella dell’acqua sulla terra, ciclica e inarrestabile. La part II dissolve piano la luce e ne mostra i risvolti più oscuri: l’acqua si fa torbida, le tessiture anguste. Si avverte la presenza di voci in sottofondo e la bonaccia, mai davvero quieta, si palesa e scompare come uno spiraglio tra le nubi.
In Unda c’è tutta l’ambivalenza dell’elemento, che muta forma senza cambiare essenza, mostrando tutto ciò di cui è capace, in una dimensione circolare senza un inizio e una fine definiti. Un lavoro estremamente concreto, in cui i suoni, anch’essi in alternanza tra sintesi e acustica, fanno da ponte tra astrazione e realtà. Così le due tracce che lo compongono sembrano non avere un limite netto: potrebbero iniziare e finire in un momento qualsiasi della loro durata o venire riprodotte all’infinito, senza soluzione di continuità, facendone perdere le coordinate imposte dal tempo. Non è un caso se la traccia bonus è un continuous mix delle due suite. Come non sembra un caso anche la scelta dell’artwork, affidato a Liam Costar, e del recente video, opera di Diego Vicinanza, che ben rappresentano la ciclicità e il movimento del lavoro di Porceddu. Tutti tasselli che di casuale hanno ben poco, tutte cure meticolose e attente che completano un quadro musicalmente variegato, espressivamente esaustivo e – pregio maggiore – artisticamente compiuto.