Il live report del festival natalizio al Cueva Rock
Di Luca Garau, foto di Emiliano Cocco
“Ce n’est pas un festival” verrebbe da dire al termine del Christmas Stay. Perché l’oramai tradizionale appuntamento organizzato da Here I Stay sotto Natale non è solo un festival, non è solo un concerto, è la riunione di una grande famiglia che coglie l’occasione delle feste e del consueto scambio di auguri per ascoltare buona musica. E come nelle grandi tavolate natalizie, non sono mancati l’ottimo cibo, il panettone, i (tanti) brindisi e i mandarini.
A dare il benvenuto è Uncle Faust, trio composto da Fabio Cerina, Raffaele Pilia e Antonio Pinna. I tre, disposti simmetricamente sul palco, in armonia coi triangoli della scenografia, offrono al pubblico un set fatto di psichedelia teutonica nel quale la fredda spigolosità delle improvvisazioni elettriche e il martellare ipnotico della batteria sono resi più miti dalla chitarra classica che fa da contraltare, conferendo un sapore passionale e latino. Il risultato non è scontato né tanto meno banale.
I Furgone, a seguire, si impossessano letteralmente del palco. Armati di cappellino natalizio che fa da pendant ai pantaloni di “canadese” (non tuta, ma proprio canadese) del cantante, approfittano del leggero anticipo per permettere al chitarrista “in prestito” di ripassarsi le canzoni – “tanto sono tutte uguali” (cit.). Sì, perché sul palco del Christmas Stay suonerà Giorgio, che, già membro, per l’occasione sostituisce Sviloopy che li aspetta a Simaxis per un altro gig. Non chiamateli stakanovisti, però. Allo scoccare delle 22:30 partono con il loro live diretto, ruvido e viscerale. Sul pavimento non c’è traccia di scaletta, ma è sufficiente che uno del gruppo gridi un titolo perché Koni stacchi il quattro sul rullante. Un brano dopo l’altro i cinque eseguono gran parte del loro repertorio, comprese le hit Gheisi e Riu Gaetau, intonate dal pubblico come nella migliore tradizione. Il tutto è intervallato dal lancio di cd, ospitate sul palco, pause birre, accordature lente che dissacrano la calda atmosfera natalizia, conferendo allo show quella piacevole patina grottesca.
Dopo il cambio palco è la volta dei bolognesi Flyin’ Zebra. Formazione classica: batteria scarna – senza charleston, tom e altri orpelli da virtuosi –, due chitarre, basso e voce femminile. Complici la fattura e la tipologia degli strumenti, il primo accordo è una dichiarazione di intenti: l’inconfondibile twang condito con il riverbero a molla e un pizzico di tremolo trasformano la Cueva in una spiaggia di San Francisco. E non passa molto tempo perché, come per magia, le anche del pubblico si sciolgano e i fianchi inizino a muoversi, sognando California.
Il tempo di buttare via pelli, corde e ogni diavoleria analogica e montare il banchetto fatto di sequencer, synth e effetti vari ed ecco arrivare Christophe Clébard. “Conciato come una punk londinese” dà vita alla sua performance, fatta di synth punk, atmosfere cupe e claustrofobiche e tanta sfrontatezza. Come una Salomè squat, si esibisce in una danza glamour e a ogni pezzo si toglie un capo, fino a rimanere completamente nudo.
Finiti i live set, ci si ritrova davanti all’altare della Fratellanza R’n’R che, con lp, 7 pollici e cornette telefoniche, già si sono occupati di ravvivare le attese tra una band e l’altra. Alternandosi alla consolle, ognuno coi propri gusti e con le proprie inclinazioni, da bravi sommelier dell’ass shaking hanno fatto sì che pubblico, band, staff potessero sudare via birre, prosecchi e tossine varie, levando via lo stucchevole candore al Natale e restituendogli il sapore dionisiaco di festa pagana.
And so this is Christmas, I hope you have fun, e anche per quest’anno è andata così!