Tutti hanno avuto nel proprio lettore Mp3 quella canzone che è partita nel momento sbagliato – e chi non l’ha avuta o sta mentendo o ha passato davvero una vita di merda.
Fai conto che nel 2006 senti dal vivo i Figli di Iubal. Per quei pochi che non li conoscessero: band di musicisti del sassarese, parte del collettivo ‘Quintomoro’ (quello di Pedditzi trasporti e Nasodoble, per intenderci). Testi intimi e taglienti, votati a un bricolage di jazz, musica etnica dell’Est Europa, tzigana e kletzmer. Nel 2006 incidono per Elicriso Music una sorta di concept album antimilitarista: Un anno sull’altipiano – opera da due soldi. Se pensate che citassero Lussu e Brecht, complimenti: avete vinto il Premio Perspicacia.
Comunque: nel 2006, pensi che la massima espressione musicale planetaria siano i Beatles e i Genesis. Così, quando senti Carlo Doneddu cantare di guerra, soldati e partenze al fronte, storci il naso perché ogni canzone non compresa tra Firth of Fifth e A day in the life è, diciamo, non brutta ma “un po’ così”.
Poi fai conto che quel disco dei Figli di Iubal per qualche motivo finisce nel tuo hard disk (cartella: “curiosità malcelata” o “amici indipendentisti”) e a un secondo ascolto pensi “Oh ma sai che tutto sommato questi tizi non sono male?”. Inevitabilmente, metti l’album nel tuo lettore Mp3.
Quello a cui non fai caso, perlomeno non subito, è la seconda traccia del disco. Si chiama Canzone di Maddalena.
Fai conto che è sabato notte. Sei in centro e devi tornare a casa a piedi, perché non sei automunito e il tuo amico che ha la macchina si sta facendo (sacrosantemente) il bicchiere della staffa. Il terzo bicchiere della staffa, a essere precisi. Tu abiti in periferia, calcoli che ci metterai trenta minuti buoni per arrivare a casa. Ma la distanza e la notte non ti spaventano, hai due ottimi alleati: una sigaretta e il lettore Mp3. Saluti, fai un cenno con la mano al tuo amico che si sta facendo (sacrosantemente) il quarto bicchiere della staffa, metti le cuffie e vai.
Nell’ultimo chilometro che ti separa dal portone di casa, alla periferia di Sassari, parte Canzone di Maddalena.
Una ballata sospesa su un arpeggio essenziale di chitarra, che quando parte scarnifica le ossa. Le parole scandite su quel giro di accordi sono una palla di fucile dritta in pancia. Con il corpo sei paralizzato sul marciapiede. Con la testa sei raggomitolato in un angolo della tua stanza. E ti ricordi tutto quello a cui non avresti voluto pensare, tappandoti le orecchie con la musica del tuo Mp3.
Che hai finito il credito nel cellulare e che non puoi chiamarla. Che quando arriverai a casa, non potrai usare il telefono fisso perché è nella stanza dei tuoi genitori, e sarebbe comunque notte fonda. E a prescindere, sai che lei, tanto, non ti risponderà.
La luna ti guarda
La terra ti culla
Stelle bianche sulle bandiere
C’è un generale che urla
Ed ombre che si confondono
Nell’azzurro sotto i pontili
Dove brillano d’argento i pesci
E si nascondono i sottomarini