Essere un bravo chitarrista può rappresentare una sciagura. Bisogna occupare un posto e tutta quell’arte va messa dalla parte giusta. Per i maschi alfa la destinazione naturale è quella del thrash metal, con tutto il corollario di birroni, short militari e pizzettoni. Se si frequenta ingegneria e Analisi 1 e 2 sono stati una passeggiata, Steve Vai, Malmsteen e i tempi dispari di Petrucci e soci rappresentano un felice approdo. Ma quando si è virtuosi e allo stesso tempo timidi, propensi alla malinconia e alle scienze sociali, si entra in uno smarrimento che dura, però, sino a quando American Football, TTNG, Cap’n Jazz non irrompono in cameretta.
I Bulgarelli, mezzo sardi mezzo no, sono bravi a suonare – chitarrista e non solo – e, vista l’assenza di outfit sudista, pur senza conoscerne i libretti universitari, devono essere stati folgorati sulla via dell’emotività. Il loro ultimo, Fat Animals, raccoglie i legati e i tapping di quelle ondate e, senza nessuna voglia di attualizzarli, li ripropone nel 2024. Le nove tracce, organiche a se stesse, sono disegnate dagli intrecci delle chitarre, (ci sarà una telecaster?) e dai fraseggi della batteria e di quel rullante così tanto presente ma mai ingombrante. Il basso di Francesco è forse il meno canonico e sembra voler cantare duettando con la voce.
Dietro i pomelli c’è Nicola Venturo, dei Buzz Farm Studios, mentre il master è stato affidato allo Staff Mastering. La foto di copertina e l’artwork sono rispettivamente di Paolo Cintura e Cristiano Salis. Da segnalare che, come si faceva un tempo, il disco è edito da più etichette e per la precisione Really Rad Records, Ashtray Monument Records, Pappu D’Onnia Di Pattatasa Records, 1a0 Records, Tape4Profit, Fresh Outbreak Records, Entes Anomicos.
In questo disco c’è tanta tanta estetica dagli Stati Uniti, quelli anonimi, della quotidianità, di Philip Roth. Ma nell’etica di Fat Animals c’è anche il Mediterraneo, mare che lega tutti i 4 membri e che in maniera dirompente e con tutte le sue contraddizioni “emerge con la sua forza irrazionale nell’andamento dei brani”. Fat Animals è un disco molto bellino, da intendersi non in senso dispregiativo, ma anzi riconoscendogli come grande merito quello di non avere l’ambizione di essere figo, né la voglia di essere grande. Solamente il prodotto di quattro ragazzi che “mentre la vita cambia, continuano ad andare in sala prove a suonare e stare bene”. E scusate se è poco!