Branduardi e Lai

Claudio Loi Retromania

Surfando a caso nel web può capitare di fare incontri inaspettati, cose che pensavi ormai sepolte dalla polvere dei tempi, nascoste in qualche anfratto buio della memoria.

Come quella remota collaborazione tra Angelo e Gigi Lai – il grande maestro di – che risale alla fine degli anni Settanta e che in qualche modo segna anche l'inizio di una nuova storia della musica isolana.

A quei tempi non era per niente scontato che suoni della tradizione sarda venissero usati in ambiti differenti, addirittura continentali e quella che oggi appare una prassi consolidata e proficua (persino abusata) era allora roba da fantamusicologia che nessuno si azzardava a proporre e persino a pensare. E quella cosa funzionò molto bene grazie alla sensibilità di Branduardi che riuscì a inserire le launeddas di Gigi Lai in un contesto inedito ma ben organizzato e assemblato.

Di quell'incontro sono stato testimone diretto e lo ricordo ancora con tanta emozione. Il nome di Lai in quegli anni era già abbastanza famoso tanto da arrivare alle orecchie di Angelo Branduardi che decide di approdare in Sardegna per sentirlo dal vivo e magari coinvolgerlo nei suoi progetti. Il “menestrello” della canzone italiana era molto attento ai fluidi sonori che arrivavano da luoghi lontani e misteriosi, da tempo era impegnato nel recupero di materiali provenienti da lontane mitologie popolari e quella sarda era materia tutta da scoprire e sperimentare. L'incontro avvenne a per la festa di Santa Lucia  il 17 luglio del 1976, ricordo bene quella data perché quella festa cade sempre alla terza domenica di luglio e per noi ragazzi era un appuntamento molto importante, una delle poche occasioni – se andava bene –  per ascoltare qualcosa di diverso dal solito.

Nel 1976 ero ancora un ragazzino e con i miei amici ero seduto a un tavolino del bar centrale, quello situato all'incrocio principale del paese, con la solita birra bevuta con indolenza e rassegnazione. A un certo punto appare questo personaggio con una chioma di cappelli foltissima in compagnia di un altro amico (forse il produttore ma non ne sono certo) e in pochi secondi realizzammo che si trattava di Angelo Branduardi che al tempo era già un personaggio famoso e molto seguito. Prendemmo coraggio e ci presentammo e ricordo che l'approccio fu molto tranquillo perché Angelo aveva tanta voglia di comunicare e di avere contatti locali. Ci disse che era venuto a Barumini perché sapeva che la sera si sarebbe dovuto esibire con il suo trio e voleva conoscerlo e proporgli di suonare nel suo nuovo disco.

E così in poco tempo si strinse una bella amicizia che per quanto effimera ricordo ancora con piacere. Ci invitò persino a cena presso la locanda delle sorelle Pintus (che oggi non esiste più), cosa che noi non prendemmo molto seriamente mentre poi siamo venuti a scoprire che effettivamente la sera ci aspettava per mangiare insieme. Dopo cena avvenne l'incontro con Luigi Lai tra un ballo sardo e una mazurca e fu l'inizio di una collaborazione davvero magica.

Le launeddas di Luigi Lai furono quindi ospitate nell'album La pulce d'acqua uscito nel 1977 per la Polydor e per diversi anni Gigi Lai condivise anche il palco in lunghe tournée europee documentate da diverse testimonianze video e poi ascoltabili anche nel disco Concerto pubblicato sempre dalla Polydor nel 1980. Era una delle prime volte che le launeddas uscivano dall'isola per confrontarsi con altri linguaggi musicali, in contesti completamente nuovi, giovanili, di massa, e fu anche l'inizio, per Luigi Lai, di una lunga serie di collaborazioni fuori contesto, spesso davvero inusuali (Enrico Rava, Pino Daniele e così via).

Ricordo anche che quell'incontro fu per me abbastanza spiazzante tanto da mettere in discussione un sistema di pensiero che a quel tempo era abbastanza comune: per chi era giovane negli anni Settanta il folk e la musica tradizionale non erano proprio dei fedeli compagni di viaggio, rappresentavano invece un mondo da superare e dimenticare. Altre musiche e altri suoni ronzavano nelle nostre teste e solo col tempo sono riuscito a venire a patti con questa lacerazione culturale e capire che anche le musiche della tradizione avevano la loro forza e potevano diventare un ottimo alleato se affrontate con il dovuto rispetto.

Tutte cose che col tempo diventano normali logiche di fruizione della musica ma che allora apparivano come reperti archeologici o peggio come un freno alla nostra voglia di futuro. E allora non posso che rendere omaggio a personaggi come Gigi Lai, Angelo Branduardi e a tutti quelli che hanno sempre pensato la musica come un unico organismo senza alti e bassi e senza le barriere che spesso ci fanno perdere il valore delle cose.