È possibile organizzare un festival musicale in Sardegna? Quali sono gli aspetti che bisogna prendere in considerazione? E la scelta degli artisti da ospitare come va organizzata? E per quanto riguarda la scelta del locale?
Ne abbiamo parlato con Martina Lorai Meli, organizzatrice dell’Hammer Blues Festival, che ci ha raccontato com’è nata l’idea di organizzare il festival, la scelta degli artisti da ospitare nel palco de le Officine Hammer e dell’evento in sé. Leggete l’intervista e scoprirete la bellezza di queste serate da chi le ha vissute.
Buona Lettura!
Ciao Martina,Il 2018 è iniziato con la creazione dell’Hammer Blues Festival, una rassegna di musica blues, per la prima volta a Cagliari, che ha visto la partecipazione di diversi artisti del blues isolano, quali Vittorio Pitzalis, Mirko big bon Zorroddu, Irene Loche, e nazionale, come Paolo Bonfanti. Com’è nata l’idea del festival?
L’idea del festival è nata dalla voglia di creare una vetrina per i musicisti sardi. In Sardegna ora c’è un gran fermento musicale. Il blues ha tanti sostenitori e soprattutto tanti artisti sardi si cimentano in questo genere che a mio avviso è un po’ la madre di tutta la musica contemporanea. In Sardegna abbiamo delle grandi realtà che probabilmente hanno aiutato i sardi ad amare il blues.
Eventi di portata internazionale come il Narcao Blues o Rocce Rosse, sono da anni un punto fermo nel panorama musicale isolano, grazie ai quali hanno posato i piedi in terra sarda tanti mostri sacri del genere. Personalmente credo che la Sardegna a oggi sia una fucina di grandi artisti, soprattutto musicisti di altissimo livello e mi è piaciuta l’idea di mostrarli nella loro veste umana, di amici della porta accanto. Portarli in un piccolo locale come le Officine Hammer che poi è un ristobar adatto a tutti, anche alle famiglie, dar loro un bello spazio per esibirsi, che è il nostro palco, farli sentire a casa e permettere a chiunque ne abbia piacere di regalarsi una serata di musica.
Siamo abituati a pensare alla musica dal vivo, come a un concerto, cioè qualcosa per cui serva andare allo stadio, pagare un biglietto spesso oltre il budget di una famiglia media, stare magari in piedi in mezzo alla folla e tornare a casa tramortiti dal suono e dalla confusione. Io ho voluto dare una dimensione più familiare alla musica, senza per questo minimizzarla o toglierle importanza. Una musica fatta di artisti di altissimo livello, professionisti che incidono musica propria, che hanno qualcosa da dire e da raccontare e di spettatori che sono persone comuni, a volte famiglie intere che portino anche i loro bambini, che decidono di ascoltare questo messaggio e di farlo magari cenando tranquillamente con i loro cari ma con l’orecchio proteso alla grande musica.
Cagliari ha da anni alcuni locali che si caratterizzano per un’offerta musicale di alto livello. C’è il Fabrik, un locale dalla tipica impronta rock, il Jazzino con il suo storico background che ha improntato la sua offerta sul jazz di alto livello, il B-flat che si è impegnato a portare in Sardegna grandi nomi italiani e internazionali per permettere anche a noi sardi che non possiamo andare a vederli altrove di godere della loro ottima musica. Ci sono poi locali come il Vinvoglio e il più recente Red Rock Cafè che si focalizzano su un’offerta di ottimo livello ma in tarda serata. E poi ci sono alcuni circoli culturali che organizzano tante cose diverse, fra cui ottima musica come il Covo Art, il May Mask, la compagnia cantante ed altri.Insomma il panorama è abbastanza ampio, ma mancava, secondo me, una dimensione intermedia, un luogo in cui collocare le famiglie: chi non vuole fare tardi, chi preferisce ascoltare musica mentre cena, gli artisti che il giorno in cui non suonano hanno magari il piacere di andare ad ascoltare qualche collega, senza dover rinunciare per forza a stare con la famiglia e senza necessariamente dover fare tardi. Il festival nasce, quindi, con l’obiettivo di offrire più serate all’interno dello stesso genere, ma mostrandone sfaccettature diverse, grazie ad artisti che pur essendo accomunati da un’origine comune, hanno scelto di svilupparla in modo diverso.
Ti va di raccontarci tappa per tappa i vari aspetti del festival?
Innanzitutto, abbiamo pianificato gli artisti che ci sarebbe piaciuto ospitare. La scelta non è stata per nulla facile. Come dicevo prima, la Sardegna ha davvero tanti grandi talenti, ma da qualcuno dovevamo pure iniziare: pertanto abbiamo organizzato inizialmente un evento singolo che non è nemmeno apparso sulla locandina del festival perché non abbiamo fatto in tempo a inserirlo. Aveva, infatti, un unico giorno libero e per di più a dicembre, a ridosso delle festività natalizie. Parlo di Francesco Piu che il 22 dicembre appunto ci ha onorati della sua visita ed è stato il trampolino di lancio dell’Hammer Blues Festival iniziato poi a gennaio. Francesco è una persona spettacolare, un grande musicista. Ha suonato da noi con Giovanni Gaias, in arte “Nanni Groove”, che l’ha accompagnato alle percussioni e in alcuni momenti anche al piano. E’ stata una serata festosa. Piena di ritmo e allegria. Il pubblico ha partecipato attivamente alla serata che è stata divertentissima e piena di ritmo. Non avremo potuto scegliere artista più adatto al lancio di questo festival!
Iniziamo dal 5 gennaio. Sul palco sale Irene Loche. Quali impressioni hai avuto? Com’è stata la serata? E il pubblico?
Irene è una fata. Un’artista straordinaria. Dietro la sua preponderante timidezza e delicatezza, si nascondono una grinta e una forza interiore eccezionale. È una professionista di altissimo livello che riesce a creare delle atmosfere magiche. Prima, durante e dopo ogni sua esibizione. Il pubblico ne è stato completamente catturato. Credo che sia stato il concerto di tutto l’Hammer Blues Festival dove ho sentito il più religioso silenzio durante ogni pezzo. Escluso i momenti in cui Irene ha trascinato tutti a cantare e a tenere il ritmo con il battito delle mani.È stata una serata straordinaria.
La seconda serata ha visto salire sul palco il trio rappresentato da Alice Marras, Alessio Sanna e Massimo Satta. Cosa ci puoi raccontare della serata?
Il primo sabato live de Le Officine Hammer. Un vero delirio. È stato un sold-out da paura, non sapevamo più dove mettere le persone che continuavano ad arrivare e non volevano rinunciare al concerto. In realtà è stata una serata che ha rischiato di saltare per vari motivi, fino all’ultimo in dubbio sul suo effettivo svolgimento. Abbiamo colto l’occasione al volo perché Alice Marras ormai studia a Londra, ma era a Cagliari per le feste natalizie e Massimo Satta che vive a Roma è venuto prevalentemente per aver organizzato il concerto in onore di Mogol purtroppo non abbiamo avuto l’onore di ascoltarlo perché si è ammalato e gli è venuta la febbre.La fortuna ha voluto però, e qui dobbiamo ringraziare Alessio Sanna che è stato un ottimo supporto per tutta l’organizzazione della serata, che salisse sul palco al suo posto il grandissimo Davide Sanna, anch’egli qui per le feste, giacché ormai vive altrove da vari anni. La serata è stata meravigliosa. Un trio composto da tre professionisti che sono anche tre persone splendide e che ci hanno deliziato con una selezione di brani meravigliosi. La serata è stata un vero successo, fantastica.
Flavio Secchi.
Flavio è bravissimo cantautore, un poeta, e un chitarrista spettacolare specializzato in flamenco. Forse però pochi sanno che oltre ad avere una fantastica voce, che ben si presta alla musica blues, ha una cultura musicale pazzesca e mi ha aiutato a creare una serata che fosse da un lato una celebrazione della musica italiana, ma che permettesse al tempo stesso al nostro pubblico di ascoltare con le proprie orecchie come e quanto il blues abbia influenzato un po’ tutta la musica, comprese le sonorità ed i testi di tanta produzione nostrana. È stata una serata bellissima, in cui dietro ad ogni brano c’era un pezzo di storia del blues, ma soprattutto abbiamo per una volta pensato al blues come a qualcosa che ci tocca tutti da vicino.Non più blues come campi di cotone oltre oceano, come schiavitù di un popolo diverso da noi, come qualcosa che forse non ci appartiene, ma blues come anima che vuole riscattarsi, blues come musica che viene da dentro il cuore, musica come urlo di emozioni e sentimenti che viaggiano sulle note per arrivare dritti al cuore di chi ascolta. E Flavio è stato bravissimo a fare questo. Una serata di grandi emozioni.
Il 19 è stata la volta di Mirko “Big Bon” Zorroddu, tornato in Sardegna da una trasferta a Bologna. Che impressioni ti ha dato incontrarlo? E la serata com’è stata?
Mirko è un ragazzo molto giovane ma con un carisma fortissimo. È una perla. Un menestrello. Non nel senso caricaturale del termine ma in quello più ancestrale, uno che ha tanto da dire, tanto da raccontare e lo fa sul palco, in maniera quasi anticonvenzionale, per costringere la gente a pensare. Pesta i piedi con i suoi campanacci e non puoi non stare attento a quel suo ritmo prepotente, a quella voce da teatrante. È molto blues nel senso più profondo, di voce che denuncia e lo fa coprendo la sua denuncia di musica. come per nasconderla dal potere, solo per farla arrivare a tutti. Mi ha colpito molto il suo modo di interpretare l’anima del blues cosi vicino alle origini, sia nelle sonorità sia nell’uso che ne fa. Poi scende dal palco ed è una persona umilissima, dolcissima, sembra quasi un elfo, una creatura immaginaria, che sotto le luci dei riflettori però prende la forma del vero bluesman.
Vittorio Pitzalis è considerato uno dei massimi esponenti del blues isolano. Ha, poi, da poco lanciato il suo album, Jimi James.Raccontaci la serata e i vari momenti significativi della stessa.
Vittorio è la storia del blues in Sardegna, un blues di altissimo livello, dalle sonorità calde che si accompagnano a quelle della sua fantastica voce. È stata un’altra serata eccezionale in cui la gente faceva a spinte per entrare. Vittorio ci ha regalato uno spettacolo coinvolgente esibendosi con i pezzi del suo album. La gente teneva il tempo, cantava applaudiva in mezzo ai pezzi. Una serata fantastica. È stato davvero bello vedere l’amore che il pubblico cagliaritano ha per lui. Era tangibile. Questo è il blues!
Dopo Pitzalis, all’Hammer si è esibito un musicista extraregionale, come Paolo Bonfanti, sulla scena musicale da più di trent’anni. Com’è stato incontrarlo e ascoltarlo?
Paolo è l’unico artista non sardo che abbiamo inserito nella rassegna. Lo abbiamo scelto per il suo modo unico di fare blues, perché è molto amato dai sardi, e perché ama la nostra terra. E poi non suonava qui da parecchio tempo. È un personaggio straordinario, l’uomo della porta accanto, di una gentilezza e di una discrezione squisita. Io non lo conoscevo di persona ed è stato un vero onore averlo a Le Officine Hammer. Il pubblico è impazzito. Non so quanti bis gli hanno chiesto. Lui carinissimo non si è tirato indietro e ha coinvolto il pubblico al punto che alla fine tutti cantavano. Bellissimo!
L’ultima tappa sarà venerdì 9 febbraio, con il gruppo degli Hoochie Coochie. Cosa ti aspetti? In futuro chi ti piacerebbe ospitare nel palco de Le Officine Hammer?
Sono sicura che sarà l’ennesima serata straordinaria, Marco Aresu e la sua band sono personaggi eccezionali e il pubblico ne resterà affascinato. Ne sono certa. Il sabato dopo la Hoochie Coochie Band, cioè sabato 10 febbraio, faremo una serata diversa dal solito. Una parentesi di jazz con dei grandi musicisti che ci stanno preparando un tributo a Kenny Barre, ma dalla settimana dopo inizierà una nuova rassegna musicale di ben sette date, anche questa sarà lanciata sotto forma di festival. Posso anticiparti solo che avremo come protagoniste sette splendide voci femminili e che il primo evento di questa nuova rassegna sarà Laura Cabras dei Loungdelica. Per il resto abbiamo tantissimi progetti che vi sveleremo man mano che avranno una forma più definita. Ancora tantissimi artisti sardi e qualche grande nome del panorama musicale nazionale e internazionale e per la bella stagione vi stiamo preparando delle sorprese inimmaginabili. Quindi seguiteci ancora e non vi deluderemo!
Sei soddisfatta dell’andamento del festival? Puoi raccontarci qualche aneddoto particolare delle varie serate che ti ha impressionato, del pubblico partecipante ai vari eventi?
Direi che questo festival è stato un vero successo e questo nonostante il locale de Le Officine Hammer non sia ancora molto conosciuto. La cosa che più mi ha dato un grande orgoglio è che tutti gli artisti che abbiamo ospitato si siano sentiti a casa e siano stati felicissimi della propria serata. Il pubblico è stato sempre molto contento e tanti ci hanno dimostrato il loro affetto partecipando a più serate del festival. Certo non è facile gestire tutto affinché la serata sia impeccabile, soprattutto in un locale che è anche ristorante. C’è sempre il rischio che qualcosa vada storto. Abbiamo fatto del nostro meglio e i ringraziamenti dei partecipanti sono la forza che ci ha spinto a continuare la programmazione con l’obiettivo di portare a Le Officine Hammer nomi sempre più importanti e rappresentativi. Anche San Valentino sarà un’occasione per ascoltare buona musica perché a Le Officine Hammer non possiamo fare più a meno della musica dal vivo, quindi oltre ad una cena romantica. Ci sarà una proposta artistica speciale che renderà la cena di San Valentino unica nel suo genere e indimenticabile.
Grazie Martina per questa interessante e bellissima chiacchierata.
Grazie infinite a voi che ci seguite e avete deciso di supportarci.